In Campania la terra non è mai neutra: è lava consolidata, tufo soffiato dal Vesuvio, argille dell’Irpinia e ossidi intrappolati tra i lapilli dei Campi Flegrei. Gli artigiani locali sanno dove andare a raccogliere il tufo giallo di Napoli per i rivestimenti leggeri, e dove trovare le argille rosse del Cilento per ottenere un’ocra profonda. Sanno riconoscere al tatto la finezza delle polveri di cenere vesuviana, capaci di dare toni di grigio cenerino a stucchi e intonaci.
Questi materiali sono stati usati per secoli in ogni cantiere: dal basamento in tufo grigio di un palazzo settecentesco ai decori ocra e bruno delle ville romane. Oggi molte cave sono chiuse, ma qualche “maestro della terra” continua a portare avanti i gesti antichi: setaccia la polvere in tinozze, la macina su pietre d’arenaria, la mescola con calce e sabbia per restituire alle pareti quel colore vivo che resiste al tempo.
Le Terre Colorate Campane
Pigmenti Naturali e Zone di Origine
In Campania il colore nasce dalla roccia e dalla cenere, non dal tufo da costruzione. Qui gli artigiani selezionano con cura le terre rosse, le ocra gialle e le polveri grigie, macinandole su pietre tradizionali e decantandole in tinozze di legno. Il risultato sono pigmenti dal potere coprente elevato, dalla stabilità alla luce e dalla granulometria ottimale, perfetti per stucchi, affreschi e pitture murali.
Ocra Rossa Campana
Tra Avellino e Ariano Irpino si trovano depositi di argille rosse cariche di ossidi di ferro (18–25 % di Fe₂O₃). Gli artigiani locali spezzano i blocchi, li macinano lentamente su pietre arenarie e li setacciano per ottenere un pigmento dal rosso mattone intenso. Questa ocra resiste al sole e all’umidità, ed è stata usata per secoli negli intonaci rustici delle masserie e nei decori a secco delle chiese rurali
Ocra Gialla Campana
Nelle formazioni alluvionali del Cilento affiorano argille limonitiche ricche di limonite (15–30 %). Il pigmento che ne deriva, un ocra gialla dalla sfumatura calda e morbida, viene decantato in tinozze di legno per eliminare impurità e quindi essiccato all’ombra. Ideale per interni e stucchi decorativi, questo colore valorizza l’incontro tra luce naturale e pietra locale
Grigio Vesuviano
Nei pressi del Vesuvio, la cenere piroclastica è stata storicamente raccolta come base per pigmenti grigi. Dopo un’essiccazione al sole, le ceneri venivano passate più volte nei mulini a macine di pietra fino a ottenere una polvere setosa. Questo grigio cenerino entrava nelle malte “a coccio pesto” e nei rivestimenti a effetto pietra lavica.
Rosso Pozzuoli
Il Rosso di Pozzuoli è uno dei pigmenti più antichi e pregiati della Campania. Estratto intorno al Tempio di Serapide e nella Solfatara, questo ematite naturale (Fe₂O₃) veniva depurato, essiccato e macinato finemente in mulini a pietra. La sua tonalità calda e profonda ne fece un colore ambito già in epoca romana, tanto da comparire negli affreschi di Pompei ed Ercolano. Oggi, pur non essendo più prodotto industrialmente a Pozzuoli, rimane un riferimento per restauratori e ceramisti
I Pigmenti Campani nella Storia e nell’Arte
Le terre della Campania raccontano una storia lunga millenni, una storia di mani che scavano, macinano, impastano e stendono il colore. Dai Greci ai Romani, dai maestri del Rinascimento ai decoratori dell’Ottocento napoletano, i pigmenti naturali campani sono sempre stati parte integrante dell’arte, della costruzione e del paesaggio.
Già i coloni greci di Cuma e della Neapolis antica conoscevano le qualità delle terre coloranti estratte nell’area flegrea. Usavano l’ematite naturale del sottosuolo di Pozzuoli per ricavare un pigmento rosso-bruno che trovava impiego nelle ceramiche a figure nere e negli intonaci delle tombe. Con l’arrivo dei Romani, l’utilizzo delle terre campane si fece sistematico: nel De Architectura, Vitruvio elogia la qualità della pozzolana vesuviana, impiegata per creare malte durevoli, ma i suoi scritti menzionano anche pigmenti derivati da terre ferrose e vulcaniche. A Pompei e ad Ercolano, le ocre rosse e gialle, così come i neri lavici, erano usati tanto nei decori murari quanto nei pavimenti a mosaico. Il celebre “rosso pompeiano”, che non è un singolo colore ma una gamma di rossi naturali ottenuti da terre locali, veniva prodotto cuocendo ocre gialle ad alte temperature.
Col passare dei secoli, queste terre continuarono ad essere impiegate, specialmente nell’arte sacra e nelle decorazioni delle residenze nobiliari. Nei secoli XVII e XVIII, con l’affermazione della scuola pittorica napoletana, molti artisti locali ricorrevano ai pigmenti naturali del territorio. Francesco Solimena, ad esempio, uno dei massimi esponenti del barocco napoletano, utilizzava fondi bruni e rossi tipici delle terre ferrose campane, che conferivano una base calda e vibrante ai suoi affreschi. Anche Giuseppe De Nittis, pittore ottocentesco originario di Barletta ma legato a Napoli, usava nei suoi bozzetti cromie calde e terrose, compatibili con pigmenti ricavati da terre locali, soprattutto per rendere gli sfondi e le ombre naturali.
La qualità dei pigmenti campani dipende non solo dalla loro composizione, ma dalla specificità dei luoghi di estrazione. Le terre rosse di Pozzuoli, ad alto contenuto di ossidi di ferro, erano note già in epoca romana, così come le terre gialle del Cilento, ricche di limonite. Nel vesuviano, i materiali piroclastici – pozzolana, cenere vulcanica e sabbie scure – venivano usati non solo per le malte, ma anche come pigmenti base per colorare intonaci e decorazioni. In Irpinia, le argille ferrose tra Avellino, Montella e Lioni davano terre di un rosso intenso, mentre le cave di tufo e di piperno tra Quarto e Soccavo fornivano polveri grigio‑azzurre che potevano essere impiegate per pigmenti da fondo.
Tutte queste terre hanno costruito l’identità cromatica della regione, sedimentandosi nei palazzi storici, nelle chiese e persino nei paesaggi rurali. Non erano solo risorse, ma linguaggi visivi, codici tramandati per via orale tra maestri muratori, pittori e artigiani del colore. Oggi, anche se molte cave storiche sono dismesse, e i pigmenti originali sono difficili da reperire, esistono ancora piccoli artigiani che lavorano alla vecchia maniera. Grazie a loro, un po’ di quella Campania profonda e terrosa continua a sopravvivere nel restauro e nella produzione artistica contemporanea.
I Colori di Napoli Città
A Napoli ogni tinta nasce dalla stretta relazione tra geologia e artigianato: la città è un crocevia di cenere vulcanica, argille ferrose e polveri calcaree che, una volta macinate su pietra e decantate in tinozze di legno, diventano pigmenti dal potere coprente e dalla stabilità alla luce. Le terre rosse provenienti dai Campi Flegrei conferiscono agli intonaci un calore che ricorda il fuoco sotterraneo, mentre le polveri grigio‑cenerine della cenere piroclastica del Vesuvio donano stucchi e malte dal carattere materico e profondo. Non meno importante è il celebre Giallo Napoli, un pigmento storico prodotto in forni specializzati fin dal XV secolo: sebbene non derivi da una terra naturale, la sua resa cremosa e calda ha scritto pagine fondamentali nella pittura partenopea e nelle decorazioni settecentesche, tanto da essere ancora oggi riprodotto in varianti moderne atossiche. Il basalto vesuviano, infine, ha prestato la sua anima scura a soglie e pavimenti, mescolandosi in piccola percentuale alle calci tradizionali per ottenere sfumature di grigio che mutano col passare delle ore. È questa sapienza pratica – il gesto di assaggiare la polvere tra le dita, di osservare la lucentezza della macina, di dosare la calce a occhio – che continua a mantenere viva l’identità cromatica di Napoli, una tavolozza costruita sulla memoria della terra e sulla passione degli artigiani locali.
Applicazioni Contemporanee nell’Edilizia Tradizionale
In Campania, come in molte altre regioni d’Italia, il recupero dei pigmenti naturali si intreccia con un rinnovato interesse per le tecniche dell’edilizia storica. Non si tratta solo di restaurare l’antico, ma di continuare una tradizione viva, basata su una conoscenza concreta dei materiali, dei tempi di lavorazione, dei climi e dei territori.
Le terre coloranti locali, che un tempo erano alla base di ogni costruzione, oggi sono al centro di progetti di restauro conservativo, soprattutto nei centri storici di Napoli, Salerno, Avellino e nei borghi interni del Cilento e dell’Irpinia. Le ocre, le pozzolane, le terre rosse di Pozzuoli e le argille ferrose dell’entroterra tornano a essere impiegate nella tinteggiatura a calce, nei rivestimenti naturali, negli intonaci pigmentati fatti come una volta: acqua, calce spenta, terra locale e tanta pazienza.
In questi interventi, la scelta del colore non è mai solo estetica. È una decisione che tiene conto della geologia del luogo, dell’esposizione al sole, del tipo di supporto murario. Un rosso di Pozzuoli non si comporta come un ocra gialla del Cilento, e una cenere vesuviana ha una reazione completamente diversa da una terra d’Irpinia. Per questo gli artigiani che lavorano con le terre campane oggi devono conoscere e testare ogni pigmento, imparando dalle tecniche antiche ma adattandole con cura alle esigenze attuali.
Molti pigmenti non sono più estratti su scala industriale: le cave storiche sono perlopiù chiuse, e recuperare il materiale originale è difficile. Tuttavia, alcuni piccoli produttori artigianali campani continuano a estrarre, trattare e vendere terre naturali, in quantità molto ridotte, spesso su richiesta specifica. Grazie a loro, architetti e restauratori possono ancora lavorare con materiali autentici, capaci di dialogare con il contesto storico e naturale senza forzature.
Sorgenti e Approfondimenti: parconazionaledelvesuvio.it – vesuviusnationalpark.it – archeoflegrei.it – distar.unina.it – parcodeicampiflegrei.it – forbes.com