Nel cuore dell’Impero Romano, le pareti delle domus patrizie, delle terme monumentali e dei templi risplendevano di colori vivi e duraturi, capaci di resistere al tempo e raccontare storie di dèi, fasti e quotidianità. I decoratori Romani – veri artigiani del colore – padroneggiavano con maestria pigmenti naturali e sintetici, scegliendo terre, minerali e composti speziati in base alla loro resa ottica, alla facilità d’applicazione su intonaco fresco o secco e alla resistenza agli agenti atmosferici. Dalle ricche sfumature della sinopia usata per tracciare le prime linee, fino al caldo splendore del giallo di piombo‑stagno che illuminava i festoni nelle stanze di rappresentanza, ogni polvere aveva un ruolo preciso nella creazione di illusioni prospettiche, decorazioni a grottesche e scene mitologiche. Qui esploreremo i dieci pigmenti iconici dell’antica Roma, ripercorrendo il loro viaggio dal giacimento alla macinazione, dalle tecniche di applicazione sulle pareti agli esempi più spettacolari di pittura murale, per comprendere come il colore fosse parte integrante della grandezza e dell’identità di Roma.
10°- Rosso Sinopia
Sinopis
COLORE: Rosso Mattone
ORIGINE: Sinopia, Lazio, Campania
Il vero rosso sinopia prende il nome dalla città di Sinop sulle coste del Ponto (l’odierna Turchia) ed era particolarmente pregiato per la sua purezza e la tenacità al calore degli affreschi. Plinio il Vecchio menziona il “sinopis” come un minerale rosso trasportato da Oriente per i grandi cantieri parietali (Plin. NH 35.86), mentre le terre locali – similari ma meno raffinate – venivano impiegate in sostituzione quando il sinopia importato scarseggiava.
- USO E VALORE: In bottega, dopo aver selezionato le vene più pure, la sinopia veniva macinata a pietra e setacciata fino a ottenere una polvere finissima, ideale per tracciare contorni e prospettive sull’intonaco fresco. Era considerata un pigmento di lusso, venduto in blocchi solidi o in sacchi di polvere setacciata: il sinopia importato da Sinop raggiungeva prezzi elevati, riservati alle decorazioni più prestigiose di domus patrizie e monumenti pubblici.
- UTILIZZI STORICI: negli scavi di Pompei e di Ercolano, pur non essendo sopravvissuti pigmenti importati, si riconoscono chiaramente tracce di sinopie rosse negli schizzi preparatori della Villa dei Misteri e delle Domus del Foro. Grazie ai tratti visibili sotto il colore, i restauratori possono ricostruire la ricchezza cromatica originale e confermare l’uso di un pigmento di importazione, come descritto da Vitruvio
9°- Bianco Biacca
Cerussa
COLORE: Bianco
ORIGINE: Italia Centrale, Spagna
La cerussa, o biacca, era il bianco di piombo ottenuto da lastre di piombo esposte a vapori di aceto in contenitori sigillati, un processo che ne trasformava la superficie in carbonato basico di piombo. Una volta raccolta, la cenere bianca veniva ripulita, bollita e macinata fino a polveri sottilissime. Questo pigmento univa un’eccezionale coprenza a una brillantezza morbida, offrendo superfici che riflettevano la luce con calore e pienezza, qualità che Plinio il Vecchio lodava come insostituibili per la pittura su tela e su intonaco, mentre Vitruvio ne raccomandava l’uso come base luminosa per ogni decorazione parietale.
- USO E VALORE: Nelle botteghe romane, la cerussa veniva stesa in primo luogo come intonaco bianco di fondo, creando una “tela” omogenea su cui i colori potevano emergere con massima intensità. Mescolata a caseina, olio d’oliva o albume, si adattava sia alla tecnica “a fresco” sia a quella “a secco”, permettendo agli artigiani di regolare consistenza e tempo di presa. Sul mercato imperiale la cerussa aveva un valore elevato: più rara e lavorata era la sua qualità, più alto ne era il prezzo, testimoniando quanto i Romani considerassero fondamentale un bianco capace di durare e di mantenere inalterata la luminosità.
- UTILIZZI STORICI: Nella Casa del Fauno a Pompei, le indagini stratigrafiche hanno mostrato come la cerussa costituisse lo strato preparatorio di molti affreschi, fornendo la base chiara per i toni caldi delle scene mitologiche. Alla Villa dei Misteri, le velature rosse delle figure si appoggiano su un bianco di piombo brillante, che ne esalta i volumi e la profondità. E perfino nelle vaste superfici delle Terme di Caracalla, frammenti di intonaco conservati vicino agli ambienti di servizio rivelano un uso continuo della cerussa per riflettere la luce delle lampade e del sole, sottolineando il ruolo centrale di questo bianco nella grandiosità della pittura murale romana.
8°- Cinabro
Cinnabaris
COLORE: Rosso Intenso
ORIGINE: Monte Amiata, Toscana / Miniere di Almaden, Spagna
Il cinabro, chiamato in latino cinnabaris, è un solfuro di mercurio celebrato da Plinio il Vecchio come “il più vivo dei rossi” grazie alla sua coprenza intensa e alla resistenza alla luce. Se le cave di Almadén fornivano il pigmento più puro, esistevano anche estrazioni locali – in particolare sul Monte Amiata e nella Tuscia – che garantivano scorte regolari e un rosso appena meno limpido, ma comunque degno di ogni decorazione romana.
- USO E VALORE: In bottega il cinabro veniva macinato finissimo e impiegato nelle fasi finali del ciclo pittorico, perché la sua tossicitàconsigliava di aggiungerlo solo a intonaci ormai asciutti. Era un pigmento di lusso, venduto in forma di polvere o piccoli grani, dedicato ai dettagli più vistosi: festoni, ornati, finiture marmoree e particolari di stoffe preziose. Chi godeva di maggior prestigio – imperatori, patrizi facoltosi, sacerdoti – chiedeva sempre quel rosso vivo, simbolo di potere e ricchezza.
- UTILIZZI STORICI: Le decorazioni della Domus dei Vettii a Pompei mostrano tracce di cinnabaris nei festoni rossi che incorniciano scene mitologiche, dove il pigmento intensifica il contrasto con gli azzurri e i verdi. Nella Domus Aurea di Nerone, frammenti di rosso scarlatto emergono tra i rilievi dorati delle sale imperiali, confermando come il cinabro fosse parte integrante della sontuosità romana e disponibile sia da Almadén sia dai giacimenti toscani.
7°- Rosso Pozzuoli
Terra Campaniae
COLORE: Rosso Ferruginoso
ORIGINE: Campi Flegrei, Campania
Il “Rosso di Pozzuoli” non compare con un termine specifico nei testi antichi, ma rientra nelle terre rosse campane – descritte da Plinio come “terra Campaniae” – estratte nelle zone vulcaniche dei Campi Flegrei, attorno all’antica Puteoli (oggi Pozzuoli). Queste terre, miste a ossidi di ferro e argille vulcaniche, offrivano un rosso caldo, leggermente aranciato, ideale per gli schizzi preparatori e per le campiture robuste nelle decorazioni murali.
- USO E VALORE: Nelle botteghe romane, questa terra veniva macinata grossolanamente per tracciare prospettive e bordi (sulle sinopie preparate) e, più finemente setacciata, per stesure di base che richiedevano un rosso meno saturo del cinnabaris. Pur non avendo il valore di un cinabro importato, il rosso di Pozzuoli era ampiamente disponibile e costituiva un’alternativa economica e resistente alle terre più pregiate, sfruttata soprattutto nei grandi cantieri imperiali e nelle ville patrizie.
- UTILIZZI STORICI: Nei resti parietali della Villa di Poppea a Oplonti, indagini stratigrafiche rivelano uno strato rosso terroso compatibile con la composizione delle terre flegree, usato per le prime stesure dei pannelli figurativi. Allo stesso modo, nei complessi termali di Pozzuoli e Baia, le pareti ancora visibili mostrano tracce di questa terra in corrispondenza dei motivi geometrici, dove il pigmento resiste all’umidità grazie alla sua natura vulcanica, confermando il ruolo diffuso e funzionale di questo rosso campano nella grande pittura murale dell’antica Roma.
6°- Blu Egizio
Caeruleum Aegyptium
COLORE: Blu Turchese
ORIGINE: Egitto (I Secolo a.C)
Il Blu Egizio, o caeruleum Aegyptium, è il primo pigmento sintetico della storia, ottenuto fondendo sabbia silicea, rame e calce fino a ottenere una massa vetrosa, poi macinata in polvere finissima. Plinio il Vecchio ne celebra la stabilità e la brillantezza, sottolineando come questo “vetro colorato” resista al calore e all’umidità senza perdere intensità, mentre Vitruvio ne raccomanda l’uso in affreschi parietali e mosaici per le sue qualità di durata e di colore costante nel tempo.
- USO E VALORE: Nei cantieri romani il Blu Egizio veniva impastato con calce spenta per la pittura “a fresco” delle pareti e miscelato con caseina o con un fondo di gesso per gli intonaci a secco. Il suo costo elevato – dovuto alla complessità della produzione e al trasporto dall’Egitto – lo rendeva un pigmento riservato alle sale di rappresentanza, ai templi e ai palazzi più prestigiosi, dove si volevano creare atmosfere rarefatte e monumentali.
- UTILIZZI STORICI: Nei mosaici della Villa Arianna a Stabiae, il Blu Egizio accende i fondali marini e le figure mitologiche, ancora intatti nei riflessi accanto al bianco del marmo. Nella Domus del Fauno a Pompei, tracce di caeruleum Aegyptium nei restauri delle stanze nobili testimoniano il suo impiego nelle decorazioni a grottesche e nei pannelli figurativi, confermando il legame tecnologico e culturale tra Roma e l’antico Egitto.
5°- Rosso Cicciniglia
Coccinus
COLORE: Rosso Rubino
ORIGINE: Coste del Mediterraneo
Il rosso cocciniglia, indicato in latino come coccus, si ricavava con grande pazienza dalle femmine di insetti del genere Kermes attaccati alle querce e ai pini delle coste mediterranee. Plinio il Vecchio ne esalta la saturazione calda e la stabilità alla luce, osservando che, a differenza di altri rossi vegetali, il coccus resisteva bene all’umidità tipica del clima romano. L’impasto di polvere di insetto, naturalmente ricco di acidi organici, veniva setacciato e trattato con calce spenta per renderlo idoneo alla pittura murale.
- USO E VALORE: Nelle botteghe il coccus veniva impastato con gomma arabica o caseina per ottenere velature trasparenti, oppure miscelato con olio d’oliva sui fondi asciutti per fissare meglio il colore. Questo rosso era considerato meno costoso della porpora di Tiro, ma apprezzato per la sua ricchezza cromatica e la capacità di creare accenti luminosi su sfondi scuri. Il valore di mercato si rifletteva nella richiesta per i ritratti di famiglia, le decorazioni delle sale di rappresentanza e i dettagli ornamentali più raffinati.
- UTILIZZI STORICI: Nei sondaggi eseguiti nella Casa del Menandro a Pompei, sono emersi sottili strati di coccus utilizzati per le guarnizioni rosate dei panneggi, volti a valorizzare i giochi di luce sulle pieghe della stoffa. Alla Villa Regina di Boscoreale, tracce di velature cocciniglie si ritrovano sotto gli stucchi policromi delle volte, dove il pigmento dava un tocco di calore alle decorazioni floreali. In entrambe le domus, l’uso sapiente del rosso cocciniglia conferma il giudizio di Plinio: un pigmento vegetale che, pur meno prestigioso dei rossi minerali, sapeva donare vivacità e profondità alle pareti dei romani.
4°- Terra Verde Verona
Viridis
COLORE: Verde Grigiastro
ORIGINE: Cave di Verona
La terra verde, chiamata in latino viridis, era un pigmento naturale ricavato dalle rocce argillose intorno a Verona, composte da celadonite o glauconite. Vitruvio la elenca tra i verdi più affidabili per le pitture murali, apprezzandone la stabilità alla luce e la facile lavorabilità (Vitruv., De Arch. VII.3), mentre Plinio ne sottolinea la compatibilità con gli altri pigmenti e la capacità di produrre ombre morbide senza viraggi nel tempo (Plin. NH 35.102).
- USO E VALORE: Nei laboratori romani la terra verde veniva macinata a polvere fine e impastata con calce spenta per la pittura “a fresco” o con caseina per l’intonaco “a secco”, permettendo ai maestri di regolare trasparenze e opacità. Veniva impiegata sia come sottofondo per bilanciare i toni caldi di ocra e cinnabaris, sia come colore principale in elementi vegetali, drappeggi ombreggiati e scenografie architettoniche. Il suo costo era moderato, rendendola una scelta comune in molti cantieri, dalle domus patrizie alle terme pubbliche.
- UTILIZZI STORICI: Nella Villa dei Misteri a Pompei, i rilievi murali mostrano come la terra verde sia stata utilizzata sotto i toni più caldi per dare profondità alle pieghe dei mantelli e agli sfondi paesaggistici, contribuendo a effetti di chiaroscuro sorprendentemente naturali. All’interno della Domus di Livia ad Prima Porta, frammenti di intonaco conservati nelle aree perimetrali rivelano applicazioni di terra verde nei festoni vegetali e nelle cornici, confermando il suo impiego diffuso nella decorazione di spazi di rappresentanza e nella creazione di ambientazioni immersive.
3°- Nero Roma
Atramentum
COLORE: Nero Profondo
ORIGINE: Roma e provincia
L’atramentum era il nero fondamentale per ogni fase della pittura murale romana. Ottenuto catturando la fuliggine sprigionata dalla combustione di olio d’oliva o di trucioli di legno, veniva poi impastato con acqua o caseina per fissarlo all’intonaco. La sua struttura fine e vellutata ne garantiva un’ottima adesione sia “a fresco” che “a secco”, mentre la sua natura economica lo rendeva universalmente disponibile nei mercati della Città e delle province.
- USO E VALORE: In bottega gli artigiani romani lo impiegavano anzitutto per tracciare sinopie e contorni, sfruttando la sua capacità di disegnare linee nette e ombre morbide. Plinio lo cita tra i pigmenti più comuni per incisioni e dettagli grafici, mentre Vitruvio ne sottolinea la parola «atramentum» come base indispensabile per ogni decorazione parietale, capace di mettere in risalto i toni più vivi e di dare profondità ai rilievi.
- UTILIZZI STORICI: Nella Casa del Chirurgo a Pompei, i contorni delle scene mediche mostrano ancora il segno scuro dell’atramentum, a testimonianza di un disegno preparatorio lasciato in superficie. Alla Domus di Augusto sul Palatino, le analisi stratigrafiche hanno recuperato tracce di nero sotto gli intonaci policromi, rivelando come i pittori utilizzassero l’atramentum per stabilire proporzioni e prospettive prima di stendere i colori. In entrambe le situazioni, il nero romano si conferma non solo un colore di massa, ma lo strumento di precisione degli artigiani dell’Impero.
2°- Rosso Ercolano
Terra Herculanea
COLORE: Rosso Arancio
ORIGINE: Ercolano, Pompei (Campania)
La terra Herculanea, citata da Plinio il Vecchio come Herculaneae terrae in relazione ai giacimenti campani, era una terra rossa naturale ricavata dalle argille vulcaniche intorno a Ercolano. Questa polvere presentava un rosso bruno caldo, dovuto all’alta percentuale di ossidi di ferro, e una granulometria che variava dal fine al medio, adatta sia per schizzi preparatori sia per stesure di base.
- USO E VALORE: Nei laboratori romani la terra Herculanea veniva macinata e setacciata con cura, quindi miscelata con acqua o caseina per stesure “a secco”, o con calce spenta per pittura “a fresco”. Era apprezzata per la sua resistenza all’umidità e per la capacità di asciugare rapidamente, qualità fondamentali nelle decorazioni parietali delle ville costiere. Economica e abbondante, costituiva un’alternativa locale al cinabro più costoso e al rosso di Sinop importato, consentendo di ottenere tonalità calde senza gravare sul bilancio delle grandi committenze patrizie.
- UTILIZZI STORICI: Nella Villa dei Papiri a Ercolano, sondaggi stratigrafici hanno rivelato l’uso della terra Herculanea nelle velature delle pareti delle sale di lettura, dove il suo rosso bruno faceva da sottofondo alle scene mitologiche. Anche nella Casa di Nettuno e Anfitrite a Pompei, tracce di questa terra si ritrovano nei pannelli inferiori dei riquadri decorativi, dove forniva il tono caldo per i cromatismi dei mosaici a finto marmo. In entrambi i casi, la stabilità e la reperibilità di questo pigmento ne hanno assicurato l’impiego continuato nelle decorazioni murali dell’area vesuviana, come testimoniato da Plinio.
1°- Porpora di Tiro
Purpura Tyrii
COLORE: Rosso Violaceo
ORIGINE: Costa di Tiro, Fenicia
Al vertice della nostra classifica dei pigmenti simbolo dell’antica Roma si colloca la porpora di Tiro, chiamata in latino purpura Tyrii e celebrata da Plinio come «il colore dei re e degli dèi», ottenuta dal secreto delle conchiglie murexraccolte sulle coste fenicie. La sua tonalità unica – un rosso-violaceo intenso, capace di variare leggermente con la luce – la rese il segno distintivo del potere imperiale e del rango senatoriale, più preziosa dell’oro e riservata alle toghe più elevate o ai dettagli architettonici di massimo prestigio.
- USO E VALORE: La porpora di Tiro non veniva impiegata come comune pigmento murale, ma piuttosto nei tessuti parietali di ambienti rappresentativi e nei dettagli ornamentali delle sale imperiali, dove i romani avevano sperimentato tecniche miste di pittura e stoffa incollata all’intonaco. Il suo valore sul mercato era altissimo: Plinio racconta che una singola porpora poteva costare il salario di un lavoratore stagionale. Artigiani esperti addizionavano la purpura a resine pregiate per ottenere glosse lucide e durature, capaci di resistere per secoli senza virare.
- UTILIZZI STORICI: Nei grandi palazzi di Nerone, le sale della Domus Transitoria e in alcune sale della Domus Aurea, frammenti di tessuto porporino sono stati trovati incollati alle pareti, accanto a stucchi dorati e mosaici di vetri colorati, segno che la purpura serviva a trasmettere un’immediatezza di potere. In contesti più piccoli, come alcuni triclinia patrizi, si applicavano velature di porpora miste a gesso e colla animale per simularne la preziosità sui fondi murali. Ancora oggi, le poche tracce individuate nei restauri degli ambienti imperiali confermano quanto la porpora di Tiro fosse considerata il pigmento supremo, simbolo di ricchezza, autorità e devozione religiosa nell’epoca d’oro di Roma.