Per secoli, alcune delle polveri più usate per dipingere pareti e tele hanno nascosto un lato oscuro: minerali ricchi di piombo, rame, arsenico e mercurio che rendevano vividi i colori, ma erano potenziali veleni in polvere. Nelle botteghe rinascimentali e nei cantieri delle ville antiche, quei pigmenti venivano lavorati con entusiasmo ed esperienza artigiana, spesso senza sapere – o volutamente ignorando – i danni che l’esposizione prolungata avrebbe provocato sui polmoni e sul sistema nervoso dei pittori e degli decoratori.
Dal rosso acceso del cinabro nei cicli murali di Pompei al giallo accecante del cromo nei saloni ottocenteschi, ogni tonalità era pensata per resistere al tempo e conquistare lo sguardo. Ma dietro la magia di quegli effetti scenografici si nascondevano neuropatie, avvelenamenti cronici e malattie degenerative. Il fascino di certi blu e verdi, protagonisti di grandi capolavori, coesisteva con l’ombra del rischio: un compromesso spesso accettato in nome dell’innovazione tecnica e della bellezza.
Esplorare oggi la storia di questi dieci pigmenti significa bilanciare la meraviglia per le soluzioni cromatiche d’avanguardia con la consapevolezza dei pericoli nascosti nelle polveri. È un richiamo a mettere la salute al primo posto, pur riconoscendo il coraggio di chi, guidato dalla passione per la decorazione murale e la pittura, ha spinto oltre i limiti della scienza dei colori.
10°- Giallo Napoli
Antimonato di Piombo
COLORE: Giallo Crema
ORIGINE: Napoli, Campania
DATA DELLA SCOPERTA: XV Secolo
Il Giallo di Napoli è un pigmento sintetico antichissimo, apprezzato già dai Romani per la sua tonalità piena e avvolgente. Ottenevano l’antimonato di piombo cuocendo miscele di piombo e ossidi di antimonio, processo che richiedeva temperature controllate e grande perizia. Il risultato era un giallo opaco, con un calore dorato capace di “scaldare” le campiture e di restare stabile alla luce e all’umidità, qualità fondamentali per le decorazioni murali di domus e terme.
Nelle botteghe rinascimentali e barocche, il Giallo di Napoli veniva impiegato sia a fresco – mescolato alla calce per affreschi e grottesche – sia a secco, spalmato su intonaci preparatori per uniformare la parete e creare un fondo luminoso per i colori sovrastanti. La sua elevata coprenza ne faceva un componente ideale per velature cariche di luce, ma la presenza di piombo lo rendeva tossico: la polvere in inalazione poteva danneggiare il sistema nervoso e causare avvelenamenti cronici, per questo in bottega si raccomandava di lavorarlo umido, ma spesso l’avvertimento non bastava.
In epoche diverse il Giallo di Napoli ha vestito i soffitti dei palazzi veneziani, gli stucchi delle ville palladiane e i cicli di affreschi pastorali. Tiepolo lo impiegò nelle luci dei panneggi e nelle decorazioni di Ca’ Rezzonico, mentre Giovanni Lanfranco lo usò per accentuare i giochi di chiaroscuro nelle volte di San Andrea della Valle a Roma. Anche nei laboratori di decorazione domestica del Sud Italia questo pigmento rimase a lungo un punto di riferimento, fino a lasciare spazio, nell’Ottocento, a gialli meno pericolosi.
9°- Cinabro
Solfuro di Mercurio
COLORE: Rosso Vivo
ORIGINE: Italia e Spagna
DATA DELLA SCOPERTA: I Secolo d.C
Il Cinabro è il rosso di solfuro di mercurio che offriva alle pitture murali romane un’intensità cromatica insuperata. Macinato finissimo, veniva applicato a secco su intonaco già asciutto per evitare la dispersione di vapori, oppure steso in leggere velature su preparazioni grasse. La sua brillantezza e la capacità di mantenere la tonalità nel tempo lo resero un pigmento di lusso, riservato ai dettagli più preziosi: drappeggi, festoni, tralci e ornati architettonici.
Il principale rischio tossico derivava dall’inalazione delle polveri sottili e dal contatto con la pelle umida, che potevano favorire l’assorbimento di mercurio nel corpo. Le botteghe più attente consigliavano di lavorare il cinabro in impasto più denso, ma spesso la passione per il colore superava ogni cautela, esponendo decoratori e pittori a neuropatie e danni renali.
Tra i contesti più celebri, frammenti di cinabro affiorano negli affreschi della Domus dei Vettii a Pompei, dove i rossi scarlatti dei festoni incorniciano scene mitologiche, e nella Domus Aurea di Nerone, in cui resti di rosso mercuriale risaltano contro gli sfondi dorati. Anche nel Rinascimento il cinabro continuò a comparire in alcuni restauri di ville vesuviane, a testimonianza del suo ruolo duraturo nella decorazione murale del Sud Italia, fino a quando i rischi per la salute indussero all’abbandono in favore di pigmenti meno pericolosi.
8°- Giallo di Cadmio
Sintetico
COLORE: Giallo Solare
ORIGINE: Germania
DATA DELLA SCOPERTA: XVII Secolo
Introdotto nel 1817 dal chimico tedesco Friedrich Stromeyer, il Giallo di Cadmio portò sulla tavolozza un giallo puro e compatto, in grado di sostenere campiture corpose senza perdere brillantezza. Nelle botteghe pittoriche d’Ottocento si affermò rapidamente per la sua eccezionale coprenza e la resistenza alla luce, qualità che lo resero adatto tanto ai ritratti su tela quanto alle grandi pareti decorate di salotti e sale da pranzo.
Il principale rischio tossico derivava dall’inalazione delle polveri fini di CdS durante la macinatura e dalla manipolazione a secco. Il cadmio è un metallo pesante che, se assorbito attraverso i polmoni o la pelle, può accumularsi nei reni e causare danni cronici, inclusi disturbi ossei e respiratori. Nonostante queste evidenze fossero già note in ambiti industriali, spesso nelle piccole botteghe d’arte il pericolo veniva sottovalutato, soprattutto quando il pigmento veniva usato in grandi quantità per intonaci colorati o decorazioni parietali.
Tra gli esempi storici, Vincent van Gogh impiegò il Giallo di Cadmio nei suoi ultimi autoritratti e nelle nature morte, sfruttandone la vibrante luminosità; Claude Monet lo utilizzò per accentuare i riflessi del sole sui paesaggi di Giverny. Sul fronte della decorazione d’interni, nei saloni borghesi di fine Ottocento si trovano ancora tracce di pareti tinte con miscele a base di cadmio, testimonianza di un’epoca in cui la ricerca della luminosità aveva spesso la precedenza sulla sicurezza.
7°- Bianco di Piombo
Carbonato di Piombo
COLORE: Bianco Caldo
ORIGINE: Spagna e Italia
DATA DELLA SCOPERTA: I Secolo a.C
La biacca, conosciuta anche come bianco di piombo, è stata per millenni il bianco di riferimento in pittura murale e su tela. Ottenuta ossidando lastre di piombo in atmosfera saturo di vapori di aceto, il pigmento veniva poi recuperato, purificato e macinato fino a una polvere finissima. La sua capacità di riflettere la luce e di offrire superfici morbide e coese la rese insostituibile nelle velature degli incarnati, nei cieli chiari, nei panneggi e nelle basi preparatorie.
Tuttavia, la tossicità del piombo rappresentava un pericolo costante: inalare la polvere durante la macinatura o a contatto con la pelle bagnata favoriva l’assorbimento sistemico, provocando avvelenamenti cronici, danni renali e neurologici. Spesso i decoratori murali lavoravano in spazi chiusi, senza alcuna protezione, ignorando gli effetti cumulativi che, nel tempo, causavano tremori, anemia e problemi digestivi.
La Casa del Fauno conserva ancora tracce di strati di biacca cosi come i celebri affreschi di Annibale Carracci a Palazzo Farnese. Nel XIX secolo, nonostante la comparsa del bianco di zinco e del bianco di titanio, molti pittori continuarono a preferire la biacca per la sua brillantezza, pagando con la propria salute un tributo che solo nel Novecento sarebbe stato riconosciuto e gestito con regolamenti più severi.
6°- Verderame
Carbonato di Rame
COLORE: Verde Brillante
ORIGINE: Italia
DATA DELLA SCOPERTA: XIII Secolo
Il Verderame nacque come sottoprodotto delle tinture agricole a base di rame e venne presto adottato dai pittori murali per il suo verde vivace, capace di evocare scorci di vegetazione e arabeschi decorativi. La polvere, ottenuta essiccando e macinando scaglie di rame corrose in soluzioni acide, offriva un pigmento impalpabile dalla resa luminosa. Compatto nella stesura e resistente all’acqua, trovò largo impiego sia nelle pareti delle chiese sia nelle sale nobiliari, dove il clima mediterraneo ne esaltava la brillantezza.
La tossicità del rame si manifestava soprattutto in fase di macinatura a secco, quando il pigmento liberava polveri finissime capaci di irritare le vie respiratorie e penetrare nei polmoni. Il contatto prolungato con la pelle umida poteva favorire l’assorbimento cutaneo, provocando dermatiti e, in dosi elevate, danni epatici e neurologici. Spesso, nelle botteghe medievali, il Verderame veniva lavorato senza maschere o guanti, e l’effetto cumulativo di anni di esposizione si traduceva in sintomi respiratori e intossicazioni croniche.
Un’ampia testimonianza dell’uso del Verderame nelle decorazioni murali si trova negli affreschi delle chiese pugliesi del XIII secolo, dove gli archi a stucchi verdi risplendono ancora sulle volte. Anche negli interni delle ville padronali toscane, resti di cornici e grottesche mostrano tracce di carbonato di rame, a volte mescolato con terre per ottenere sfumature più tenui. Ancora oggi, studi spettroscopici confermano la presenza di Verderame nelle decorazioni medievali, ricordandoci quanto quel verde fosse amato, nonostante il prezzo nascosto nella salute di chi lo preparava.
5°- Giallo di Cromo
Cromato di Piombo
COLORE: Giallo Limone
ORIGINE: Francia
DATA DELLA SCOPERTA: XVII Secolo
Il Giallo di Cromo fu messo a punto per la prima volta nel 1809 dal chimico Louis Vauquelin a Parigi, ottenuto facendo reagire solfato di piombo con potassio cromato. Questo pigmento inaugurò un giallo saturo e pieno, con un potere coprente superiore alle ocra tradizionali e una brillantezza inalterabile anche in piena luce solare.
Tuttavia, il cromato di piombo contiene piombo e cromo esavalente, entrambi noti per la loro tossicità. Durante la macinatura e la miscelazione a secco si libera polvere finissima, che può danneggiare polmoni, reni e sistema nervoso. Il contatto prolungato con la pelle umida facilita l’assorbimento cutaneo, mentre l’inalazione cronica può provocare gravi infiammazioni bronchiali e patologie epatiche.
Artisti come J.M.W. Turner e Eugène Delacroix adottarono il Giallo di Cromo per i suoi riflessi solari nei tramonti e nei paesaggi, e molti atelier dell’Ottocento lo impiegarono anche per decorazioni murali e stucchi di saloni cittadini. Con il tempo, la consapevolezza dei rischi portò i pittori a usarlo con cautela o a sostituirlo con alternative meno pericolose, lasciando al Giallo di Cromo un posto di rilievo nella storia dei pigmenti… e un monito sui pericoli nascosti dietro alla ricerca della luminosità estrema.
4°- Rosso di Cadmio
Solfuro e Seleniuro di Cadmio
COLORE: Rosso Aranciato
ORIGINE: Germania
DATA DELLA SCOPERTA: XIX Secolo
Scoperto all’inizio del Novecento dal chimico tedesco Friedrich Stromeyer, il Rosso di Cadmio estese la famiglia dei gialli al cadmio creando rossi saturi e stabili. Grazie all’aggiunta di selenio al solfuro di cadmio, questo pigmento offre una gamma che va dall’arancio intenso al rosso cupo, con elevata coprenza e resistenza alla luce.
Tuttavia, il cadmio è un metallo pesante altamente tossico: durante la produzione e la macinatura del pigmento, possono liberarsi polveri sottili che, se inalate, si depositano nei polmoni e nei reni, causando danni cronici e accrescendo il rischio di tumori. La manipolazione a secco e l’esposizione prolungata senza protezioni adeguate hanno portato a numerosi casi di avvelenamento professionale tra i colorifici e gli artisti.
Nonostante questi rischi, il Rosso di Cadmio divenne rapidamente il protagonista delle tavolozze impressioniste e moderne: Vincent van Gogh lo utilizzò per i vibranti girasoli, mentre Henri Matisse e Pablo Picasso lo impiegarono in blocchi di colore puro. Anche nei laboratori di decorazione d’interni del XX secolo, il suo rosso caldo è rimasto in uso fino a quando normative più severe ne hanno limitato l’impiego, sostituendolo con alternative organiche meno pericolose.
3°- Verde di Scheele
Arsenito di Rame
COLORE: Verde Brillante
ORIGINE: Europa Centrale
DATA DELLA SCOPERTA: XVI Secolo
Il Verde di Scheele fu sintetizzato nel 1775 dal chimico svedese Carl Wilhelm Scheele e introdusse per la prima volta in Europa un verde nitido e luminoso, sconosciuto alle terre naturali. Ottenuto facendo precipitare un sale di rame con arsenito di sodio, veniva quindi lavato e macinato in polvere finissima, offrendo una tonalità uniforme che divenne rapidamente popolare nei paesaggi e nelle decorazioni murali.
Il pigmento, però, conteneva una percentuale significativa di arsenico, il cui rilascio sotto forma di polveri respirabili costituiva un grave pericolo: l’inalazione cronica poteva provocare neuropatie, problemi gastrointestinali e danni al fegato, mentre il contatto cutaneo con l’intonaco umido favoriva assorbimenti dannosi. Per questi motivi, già nei primi decenni dell’Ottocento molti decoratori cominciarono a conoscerne i rischi, ma la sua resa cromatica rimase così appetibile da rallentare la migrazione a pigmenti più sicuri.
Gli esempi storici del Verde di Scheele si rintracciano nei cieli verdastri e nelle foglie taglienti dei dipinti romantici, così come nelle grottesche di molte ville neoclassiche. Artisti come Thomas Gainsborough ne sfruttarono la brillantezza nei paesaggi inglesi, mentre gli affreschi ottocenteschi di alcuni palazzi parigini mostrano ancora oggi i decori verdi intatti, seppure in contesti dove il pubblico ignaro respirava vapori velenosi.
2°- Orpimento
Solfuro di Arsenico
COLORE: Giallo Dorato
ORIGINE: Medio Oriente
DATA DELLA SCOPERTA: I Secolo a.C
L’Orpimento è un pigmento naturale di solfuro di arsenico, apprezzato fin dall’Antichità per la sua tonalità gialla vivace, capace di conferire grande calore ai paesaggi e alle decorazioni murali. Estratto in cave del Caucaso e in aree dell’Anatolia, veniva macinato finemente e legato con l’acqua di calce o con emulsioni proteiche per stesure “a fresco” nelle grottesche e nei soffitti dipinti. La sua brillantezza lo rese un colore distintivo in affreschi e miniature, dove sostituiva le ocra più spente.
Il rischio tossico dell’Orpimento era elevato e spesso sottovalutato: la polvere generata durante la macinatura e i vapori sprigionati in presenza di umidità potevano provocare gravi avvelenamenti da arsenico, con sintomi che spaziavano da irritazioni polmonari a neuropatie e danni epatici. Gli artigiani esperti cercavano di lavorarlo in argille umide o in paste dense per ridurre l’inalazione, ma la contaminazione dei laboratori rimaneva una minaccia costante.
L’Orpimento compare ancora nei frammenti di affreschi di Pompei, dove i fondali dorati di alcune scene mitologiche mostrano tracce di questo giallo arsenicale, e in molti cicli bizantini del Medioevo, come nelle chiese rupestri della Cappadocia. Anche nelle miniature italiane del XIV secolo gli occhi degli angeli e i dettagli dei panneggi presentano tocchi di orpimento, testimoniando un uso continuo fino all’avvento di gialli meno nocivi all’inizio dell’età moderna.
1°- Malachite
Polvere di Pietra Viola
COLORE: Verde Smeraldo
ORIGINE: Egitto e Europa
DATA DELLA SCOPERTA: 2000 a.C
La malachite è stata per millenni il verde più amato e allo stesso tempo tra i più insidiosi pigmenti naturali. Estratta in pani o croste dal caratteristico aspetto a “occhio di tigre” nelle miniere di rame, la pietra veniva ridotta in polvere finissima attraverso un lungo processo di macinazione umida. Versata poi in paste spesse, s’integrava con l’intonaco a calce delle pareti o con emulsioni leggere per le superfici lignee.
Nel medioevo e nel Rinascimento, la malachite dava vita a fogliami e panneggi dal verde intenso, capace di resistere nel tempo senza virare. Il suo fascino derivava dalla brillantezza naturale e dalla compatibilità con molti leganti, ma la sottile polvere di rame era un più letale dei verdi sintetici ottocenteschi: inalata o assorbita dalla pelle – specie in laboratori poco ventilati – provocava irritazioni respiratorie, danni epatici e neuropatie. Colori così vividi si pagavano con la salute di decoratori e pittori, ignari delle conseguenze a lungo termine.
La malachite appare ancora nei motivi vegetali degli affreschi delle Cappelle gotiche europee e dei soffitti affrescati delle residenze nobiliari italiane. Nei laboratori rinascimentali il pigmento verde era un punto di richiamo per archi e grottesche, come nei cicli di palazzi veneziani; a Pompei, tracce mineralogiche identificala in alcune decorazioni d’intonaco colorato. Ancora oggi, conoscerne la storia significa riconoscere il compromesso tra il desiderio di un colore unico e il prezzo pagato da chi lo ha prodotto.