• I Pigmenti degli Affreschi

I 10 Pigmenti Più Ricorrenti Nei Grandi Affreschi Italiani

Documentati Attraverso Tecniche Non Invasive: FORS, XRF, Raman, XRD

Per secoli, le pareti delle chiese, dei battisteri e delle residenze nobiliari italiane si sono animate grazie a una tavolozza che fondeva materie prime locali e minerali esotici. Dagli ocra delle terre vicentine agli azzurrite importate, passando per il bianco di piombo e i verdi naturali, quei pigmenti sono stati i fedeli compagni dei maestri dell’affresco, capaci di restituire volti sacri, paesaggi infiniti e illusioni prospettiche con una forza e una durabilità impareggiabili.

Il successo di questi colori non sta solo nella loro resa estetica, ma nell’adattabilità ai diversi supporti e nel dialogo continuo con il territorio: ogni pigmento riflette un equilibrio tra disponibilità, tecniche di applicazione e resistenza agli agenti atmosferici. È così che, attraverso l’analisi scientifica dei materiali, possiamo riconoscere la costante presenza di dieci pigmenti “must” negli affreschi più celebri d’Italia, testimoni di un’arte che univa sapienza artigiana e ricerca cromatica.

10°- Cinabro

COLORE: Rosso Aranciato

ORIGINE: Spagna e Italia

Il Cinabro, noto anche come vermiglione, è da sempre il rosso più intenso e duraturo a disposizione dei pittori d’affresco. Ne esisteva una versione “naturale” dalle miniere di Almadén, esportata in tutto l’Impero Romano, e una locale, meno pura, dalle cave toscane. Macinato finissimo e applicato a secco sulle superfici ormai asciutte, il cinabro garantiva un rosso saturo capace di sopravvivere nei secoli, pur manifestando spesso un graduale scurimento dovuto a reazioni con cloruri ambientali.

In affresco, il cinabro veniva riservato ai dettagli più preziosi – panneggi, festoni, emblemi sacri – e all’occasione miscelato con biacca per ottenere sfumature più chiare. La sua tossicità obbligava a lavorarlo in impasti umidi e ben ventilati, ma la rarefatta brillantezza del rosso mercuriale lo rese un pigmento di gran lusso, simbolo di potere e sacralità.

ALCUNI UTILIZZI IN AFFRESCO CERTIFICATI:

  • Cappella degli Scrovegni, Padova (Giotto) – Presenza di HgS confermata da spettroscopia Raman
  • Maestà di Ambrogio Lorenzetti, Siena (Battistero / St. Augustine) – Analisi FT‑Raman e SEM‑EDX hanno identificato cinabro nei rossi delle vesti 
  • Pannelli Pompeiani, Museo Archeologico di Napoli – XRF e DRIFTS su frammenti indicano HgS nella miscela rossa
Pannelli Pompeiani, Napoli Museo Archeologico

9°- Blu Egizio

COLORE: Blu Turchese

ORIGINE: Egitto

Il Blu Egizio è il primo pigmento artificiale della storia, ottenuto fondendo sabbia silicea, rame e calce già nel III millennio a.C. Apprezzato per la sua stabilità alla luce e la resistenza all’umidità, venne importato in Italia romana e utilizzato soprattutto nei cicli murali e nei mosaici di maggior pregio. Pur essendo tecnicamente riproducibile, in molte botteghe veniva realizzato mescolando polvere di lapislazzuli macinato a componenti vetrosi, rendendolo un pigmento costosissimo e dunque riservato alle decorazioni più lussuose. Questo lo rende ancora oggi simbolo della ricchezza cromatica degli affreschi più celebrati.

ALCUNI UTILIZZI IN AFFRESCO CERTIFICATI:

  • Trionfo di Galatea, Villa Farnesina, Roma – presenza estesa di Blu Egizio nel cielo e nel mare, mappata tramite imaging VIL/XRF
  • Loggia di Amore e Psiche, Villa Farnesina, Roma – conferma dell’uso del pigmento tramite spettroscopia VIL nelle decorazioni superiori dell’affresco
  • Nel dipinto “Adorazione dei Magi”, R. Tisi detto il Garofalo (Ferrara, 1530 ca.) – rilevamento del Blu Egizio in combinazione con oltremare tramite analisi Raman e SEM‑EDX
Trionfo di Galatea, Villa Farnesina

8°- Malachite

COLORE: Verde Smeraldo

ORIGINE: Italia, Africa

La Malachite è stata uno dei verdi più usati nella pittura murale italiana prima dell’introduzione dei pigmenti sintetici moderni. Ricavata da un minerale di rame facilmente riconoscibile per la sua struttura fibrosa e il colore vivace, veniva macinata a umido, decantata e purificata in modo da ottenere una polvere fine e stabile. Il pigmento, nonostante il costo superiore rispetto alle terre, era molto richiesto per la sua resa cromatica intensa e per la buona compatibilità con la calce, condizione fondamentale per l’affresco.

A differenza di verdi ottenuti per mescolanza (come giallo + blu), la malachite offriva una tonalità vibrante, immediata, capace di resistere alla luce e al tempo. Per questo, venne impiegata spesso nei fondali paesaggistici, nei panneggi nobiliari, nelle decorazioni architettoniche e nelle porzioni ornamentali che richiedevano un verde acceso ma stabile. La sua presenza in numerosi cicli pittorici dimostra quanto gli artisti del Rinascimento e del periodo tardo gotico italiani sapessero coniugare valore estetico e durabilità tecnica.

Il suo uso era particolarmente comune nelle aree dove esisteva una disponibilità di rame o dove passavano rotte mercantili che rendevano possibile l’acquisto di pigmenti minerali raffinati. Inoltre, i maestri delle botteghe italiane ne apprezzavano la versatilità, sia per lavori “a fresco” (con la calce viva) sia per interventi “a secco” legati a rifiniture o dorature.

ALCUNI UTILIZZI IN AFFRESCO CERTIFICATI:

  • Cappella di Sant’Enrico (Valle d’Aosta) – Le analisi FORS, XRF e Raman confermano la presenza di malachite nelle vesti dei santi e nelle decorazioni vegetali.
  • Domus Valeriorum – Roma (II secolo d.C.) – Studi stratigrafici e spettroscopici (Raman, XRF, SEM-EDX) hanno identificato la malachite come pigmento principale nei motivi ornamentali verdi.
  • Abbazia di San Giovanni Evangelista – Parma (XVI secolo) – Nel confronto tra due artisti rinascimentali, l’uso della malachite è stato confermato da analisi Raman nelle decorazioni murali absidali.
Abbazia di San Giovanni Evangelista – Parma

7°- Azzurrite

COLORE: Blu Chiaro

ORIGINE: Europa

L’azzurrite è stata per secoli uno dei blu più ricercati e usati nella pittura murale italiana, in particolare tra Trecento e Cinquecento. Più economica del blu oltremare, ma visivamente straordinaria, l’azzurrite era una scelta strategica per gli artisti che volevano ottenere tonalità brillanti e profonde senza dover ricorrere al costosissimo lapislazzuli.

A differenza del blu oltremare, che non resisteva alla calce viva e quindi veniva impiegato “a secco”, l’azzurrite era compatibile con la tecnica dell’affresco, anche se in ambienti umidi tendeva a degradarsi lentamente verso toni verdastri per alterazione chimica (trasformandosi in malachite). Questo processo non scoraggiò il suo utilizzo: il pigmento veniva impiegato con accorgimenti specifici come la stesura su intonaco ben carbonatato o in strati sottili e protetti da velature.

Il suo colore era molto apprezzato per i fondali celesti, i panneggi sacri, le volte stellate e le decorazioni architettoniche, in particolare nei cicli religiosi e nelle cappelle gentilizie. Inoltre, la disponibilità del minerale in Europa centrale rese l’azzurrite accessibile tramite rotte commerciali consolidate tra Germania, Francia e Nord Italia.

ALCUNI UTILIZZI IN AFFRESCO CERTIFICATI:

  • Castello del Buonconsiglio – Torre dell’Aquila, Trento (fine XIV sec.) – Nel ciclo dei Mesi, l’azzurrite è impiegata nei cieli e negli abiti nobiliari; confermata da XRF e analisi multispettrali.
  • Basilica di Assisi – Volta della Basilica Superiore, Assisi (XIII sec.) – Le decorazioni a cielo stellato e le vesti apostoliche mostrano un uso calibrato di azzurrite accertato tramite riflettografia e Raman.
Basilica di Assisi – Volta della Basilica Superiore

6°- Terra di Siena

COLORE: Giallo Dorato

ORIGINE: Toscana

La Terra di Siena è stata apprezzata nei secoli per la sua versatilità, resistenza e calore cromatico. Si tratta di una terra ferrosa naturale ricca di ossidi di ferro, manganese e argilla, che a seconda della lavorazione e dell’esposizione al calore può variare dal bruno giallastro della versione naturale (Terra di Siena naturale) al marrone caldo e profondo della versione calcinata (Terra di Siena bruciata).

La zona di estrazione storica è la campagna intorno a Siena, tra le crete senesi e i colli dell’entroterra toscano. Le botteghe senesi del Trecento ne facevano largo uso, e da lì la Terra di Siena si diffuse in tutta la penisola, diventando uno dei colori più stabili e diffusi nell’affresco, soprattutto per ombre, vestiti, sfondi, architetture, pavimentazioni, elementi naturali e cieli al tramonto.

A livello tecnico, la Terra di Siena ha il grande vantaggio di resistere perfettamente all’ambiente alcalino della calce viva, motivo per cui fu scelta da generazioni di maestri per l’affresco “a fresco”, ma anche per velature e ritocchi “a secco”. Il suo tono caldo e naturale crea contrasti armoniosi con l’ocra, il cinabro, l’azzurrite e il verde, e dona profondità cromatica a interi cicli pittorici.

ALCUNI UTILIZZI IN AFFRESCO CERTIFICATI:

  • Piero della Francesca – Storie della Vera Croce, San Francesco ad Arezzo: la Terra di Siena, in forma naturale e calcinata, è presente nelle ombre delle architetture e nei panneggi dei personaggi, secondo i risultati pubblicati dal CNR e dal Laboratorio Diagnostico per i Beni Culturali di Arezzo
  • Benozzo Gozzoli – Cappella dei Magi, Palazzo Medici Riccardi (Firenze): l’analisi del pigmento condotta durante il restauro ha confermato un uso estensivo di Terra di Siena soprattutto per modellare figure, cavalli e paesaggi

5°- Verde Verona

COLORE: Verde Grigiastro 

ORIGINE: Veneto

Il Verde di Verona è una terra naturale a base di minerali ferrosi che si estrae da cave argillose nei pressi della città veneta. La sua composizione lo rende particolarmente stabile e compatibile con la calce, qualità che lo ha reso uno dei verdi più utilizzati negli affreschi medievali e rinascimentali italiani.

A differenza di pigmenti più brillanti ma instabili (come la malachite o l’azzurrite), il Verde di Verona ha una resistenza straordinaria nel tempo: non cambia tonalità né sotto la luce né a contatto con l’umidità, rendendolo ideale per superfici murarie interne o parzialmente esposte.

Questo pigmento veniva spesso impiegato nella decorazione di elementi architettonici, fondali paesaggistici e panneggi, ma anche per costruire ombre nei carnati, grazie alla sua tonalità morbida e neutra. Nelle scuole pittoriche venete e lombarde è stato a lungo preferito rispetto ai verdi più accesi, soprattutto nei contesti religiosi dove serviva sobrietà cromatica.

ALCUNI UTILIZZI IN AFFRESCO CERTIFICATI:

  • Cappella di San Michele – Chiesa di San Pietro in Mavinas, Sirmione (XIII sec.) – Analisi non invasive (XRF e Raman) hanno confermato la presenza di terre verdi naturali, tra cui il Verde di Verona, utilizzato nei fondi e nei panneggi.
  • Oratorio di San Giorgio – Altichiero da Zevio, Padova (1377) – Le analisi mineralogiche hanno individuato l’uso del Verde di Verona nei panneggi e nei paesaggi.

4°- Nero Vite

COLORE: Nero Bruno

ORIGINE: Nord Italia

Il Nero di Vite è uno dei pigmenti neri più antichi e diffusi nella storia dell’arte murale italiana. Si otteneva bruciando lentamente i tralci della vite – abbondante nelle campagne del Centro-Nord Italia – in contenitori chiusi, producendo una polvere finissima e stabile, facile da mescolare con la calce e con ottima resa anche “a fresco”.

Rispetto al più profondo Nero d’Avorio, il Nero di Vite offre una tonalità più calda e meno coprente, ideale per ombre delicate, capelli, dettagli architettonici e linee preparatorie. La sua economicità e disponibilità lo resero comune in tutti i cantieri di affreschi, dalle cappelle più umili ai cicli più monumentali, specialmente nel Trecento e Quattrocento.

Inoltre, la sua origine agricola ne fece un pigmento strettamente legato ai territori vitivinicoli italiani, in particolare la Toscana, l’Emilia, la Lombardia e il Veneto, dove le potature stagionali garantivano abbondante materia prima.

ALCUNI UTILIZZI IN AFFRESCO CERTIFICATI:

  • Cappella Brancacci – Masaccio e Masolino, Firenze (1424–1428) – Le indagini spettroscopiche effettuate nel restauro del 1988–90 hanno identificato nero di vite usato nei panneggi scuri e nei contorni.
  • Oratorio dei Disciplini – Clusone (BG), Trionfo della Morte (1485) – Analisi XRF e ottiche hanno rilevato l’impiego di nero di vite per dettagli scuri e profili figurativi.
  • Chiesa di San Francesco – Montefalco, Benozzo Gozzoli (1452) – Durante il restauro del 2001, le indagini hanno confermato l’uso di nero di vite nei contorni e nelle architetture.

3°- Biacca

COLORE: Bianco Caldo

ORIGINE: Europa

La Biacca, conosciuta anche come bianco di piombo, è stata per secoli il pigmento bianco più pregiato e utilizzato nella pittura murale e su tavola. Negli affreschi italiani la Biacca veniva impiegata con estrema cautela, poiché la calce viva dell’intonaco fresco ne comprometteva la stabilità chimica. Tuttavia, in decorazioni “a secco” o a tempera sopra l’intonaco, la biacca era molto usata per schiarire i toni, modellare le carni e realizzare effetti di luce sui panneggi, grazie alla sua opacità setosa e al tono caldo, molto diverso dal bianco freddo della calce pura. La sua diffusione fu ampia in Italia centro-settentrionale tra il Trecento e il Cinquecento, soprattutto nei cicli di grande prestigio, data la sua difficoltà di produzione e l’elevato costo.

ALCUNI UTILIZZI IN AFFRESCO CERTIFICATI:

  • Cappella Tornabuoni – Domenico Ghirlandaio, Firenze (1485–1490) – Analisi SEM-EDX hanno individuato presenza di biacca nei panneggi bianchi, usata “a secco” dopo la stesura dell’affresco.
  • Volta della Camera degli Sposi – Andrea Mantegna, Mantova (1474) – Le indagini diagnostiche hanno riscontrato biacca nei punti luce delle architetture e dei tessuti.
  • Chiesa di San Francesco – Piero della Francesca, Arezzo (1452–1466) – Le ricerche chimico-fisiche del ciclo “Storie della Vera Croce” hanno confermato l’uso di biacca per lumeggiature a secco.

2°- Rosso Sinopia

COLORE: Rosso Mattone

ORIGINE: Sinop (Turchia)

COMPOSIZIONE: Ossido di Ferro 

Il Rosso Sinopia era il pigmento tradizionale usato per tracciare il disegno preparatorio degli affreschi direttamente sull’arriccio. La sua tonalità calda e terrosa offriva un contrasto netto con il bianco dell’intonaco fresco, permettendo al pittore di disegnare proporzioni, pose e contorni con precisione prima di stendere il colore. Sinopie di pregio, spesso ormai nascoste sotto lo strato pittorico, emergono oggi grazie a distacchi murari o tecniche non invasive, rivelando cambi di idea, ripensamenti compositivi e la mano dell’artista nel momento più intimo del processo creativo.

I pittori medievali e rinascimentali utilizzavano il sinoper non solo come guida, ma anche come elemento espressivo nelle prime stesure parziali: in alcuni cicli, tracce di sinopia rimangono visibili lungo i bordi delle figure, suggellando il dialogo fra fase grafica e fase pittorica. La provenienza “exotics” da Sinop, in Turchia, sottolinea l’importanza di reti commerciali che, fin dall’epoca bizantina, rifornivano le botteghe italiane di materie prime speciali.

ALCUNI UTILIZZI IN AFFRESCO CERTIFICATI:

  • Cappella degli Scrovegni, Padova (Giotto) – Le sinopie originali, ancora parzialmente visibili dopo il distacco di alcuni riquadri, sono state studiate con imaging multispettrale e rivelano le prime linee di composizione delle storie di Cristo
  • Trinità con Santi, Andrea del Castagno, Firenze (Sant’Apollonia) – La sinopia sottostante mostra variazioni di posa nelle figure rispetto alla versione finale, documentata da rilievi e studi storici
  • Basilica di San Francesco, Assisi (Ciclo della Vita di san Francesco) – XRF e DRIFTS su frammenti indicano HgS nella miscela rossa

1°- Ocra Gialla

COLORE: Giallo Terra

ORIGINE: Tutto Il Mondo

L’Ocra Gialla è, senza dubbio, il pigmento più diffuso e trasversale nella storia dell’affresco italiano. La sua presenza, capillare e continua nei secoli, è dovuta non solo alla grande disponibilità del minerale di partenza – argille contenenti idrossidi di ferro – ma anche alla facilità di estrazione, preparazione e stabilità cromatica nel tempo. Era una terra accessibile, lavorabile con semplicità e perfettamente compatibile con la calce, per questo motivo è stata usata da nord a sud, attraversando ogni periodo artistico senza mai perdere importanza.

Il suo tono caldo e luminoso si prestava a fondi, incarnati, architetture e persino elementi vegetali, e dava profondità e realismo anche ai dettagli più minuti. Negli affreschi, l’ocra gialla era spesso utilizzata pura, ma anche come base per sovrapposizioni, mescolanze e velature che creavano sfumature più complesse. Non esiste grande ciclo pittorico murale in Italia dove non compaia, e la sua versatilità cromatica l’ha resa insostituibile.

Troviamo l’Ocra Gialla in affreschi celebri e ben documentati, come quelli di Giotto nella Basilica Superiore di San Francesco ad Assisi (analisi: CNR-ISPC), nelle Storie della Vera Croce di Piero della Francesca ad Arezzo (fonte: Opificio delle Pietre Dure), e negli affreschi del Pinturicchio negli Appartamenti Borgia in Vaticano (Musei Vaticani). La si ritrova anche nel ciclo di Benozzo Gozzoli nella Cappella dei Magi a Palazzo Medici Riccardi di Firenze (Comune di Firenze – Restauro), e in modo centrale negli affreschi della Sala dei Giganti di Palazzo Te a Mantova, realizzati da Giulio Romano, dove domina nelle campiture luminose e negli incarnati mitologici (Mantova Cultura).

Questa onnipresenza non è solo testimonianza tecnica, ma anche simbolica: l’Ocra Gialla racconta il legame profondo tra arte e terra, tra pittura e materia. È il colore dell’Italia rurale, delle colline e delle argille, portato sui muri con umiltà e maestria da generazioni di pittori. Il suo primato negli affreschi italiani è, oggi più che mai, un invito a riscoprirla anche nella decorazione contemporanea, per pareti che sanno parlare con la voce della nostra storia.

ALCUNI UTILIZZI IN AFFRESCO CERTIFICATI:

  • Battistero Neoniano, Ravenna (VI sec.) – Nei mosaici e negli affreschi, l’ocra gialla viene riconosciuta nei fondi dorati e nelle motivazioni geometriche tramite analisi XRF e FT‑IR
  • Affreschi di San Marco, Firenze (Giotto e allievi, 1290–1304) – Analisi Raman e XRF confermano l’uso di ocra gialla nei cieli e nei motivi floreali
  • Cappella Brancacci, Firenze (Masaccio e Masolino, 1424–1428) – Indagini FT‑IR e ottica microscopica documentano l’impiego dell’ocra gialla per le luci e i volumi dei panneggi
  • Cappella degli Scrovegni, Padova (Giotto, 1303–1305) – Lo scanner multispettrale ha rivelato strati di ocra gialla nelle ombreggiature delle vesti e nei dettagli architettonici.
  • Volta della Sala dei Giganti, Palazzo Te, Mantova (Gianetti, 1536–1539) – Studi XRF individuano ocra gialla nelle sfumature dorate e nei bassorilievi illusionistici