• Pigmenti e Colori della Lombardia

Le Terre Naturali della Lombaria

Alla Scoperta di Pigmenti e Terre Coloranti Lombarde

La Lombardia è una regione che passa dai dolci declivi della Pianura Padana alle cime delle Alpi e delle Prealpi; ogni provincia ha portato alla tavolozza naturale un suo contributo cromatico. Nella provincia di Brescia, il celebre Botticino Classico – un calcare avorio dal grano finissimo – ha dato vita a stucchi e pavimenti di pregio, e la sua polvere è oggi utilizzata come schiarente per intonaci traspiranti. Tra Bergamo e Sondrio, le prealpi offrono serpentiniti verdi e marmi grigi, trasformati in pigmenti per velature dal tono freddo e naturale.

Nel cuore della provincia di Milano, le argille bianche e le sabbie fluviali del fiume Po hanno fornito la base delle prime pitture murali padane, mentre verso est, tra Mantova e Cremona, le terre rosse del fiume Po sono state da sempre impiegate per la coloritura di cortili rurali e case coloniche. Sul versante occidentale, nelle province di Varese e Como, affiorano antichi depositi di calcari e dolomie bianche, utili per ottenere calci aeree di colore perlaceo.

Questa varietà di materie prime – terre ocra, terre rosse, serpentiniti verdi, marmi bianchi – è stata lavorata da generazioni di artigiani che macinavano le pietre su mole in pietra locale, decantavano le polveri in tinozze di legno e mescolavano i pigmenti a calce idrata per ottenere intonaci e stucchi capaci di durare nei secoli. È un patrimonio di saperi manuali e di risorse geologiche che racconta la Lombardia più autentica, pronta a vestire di colore autentico non solo chiese e palazzi, ma anche le nuove sperimentazioni di bioedilizia.

Le Terre Colorate Lombarde

Pigmenti Naturali e Zone di Origine

In Lombardia esistono pigmenti naturali con documentazione d’uso concreta, impiegati da secoli nell’arte e nell’edilizia, ancora oggi valorizzati da artigiani e restauratori.

Uno di questi è il Bianco di Botticino, proveniente dalle omonime cave bresciane. Si tratta di un calcare compatto, estratto nelle valli intorno a Brescia fin dal Medioevo, utilizzato per colonne, pavimenti e rivestimenti di chiese e ville. La sua polvere schiarente, ottenuta macinando gli scarti di lavorazione, viene ancora oggi impiegata in intonaci a calce per restauri grazie alla sua compatibilità con i materiali storici.

Altro pigmento ben documentato è la Serpentinite verde delle Prealpi lombardo-bresciane. Questa roccia, con il suo caratteristico tono verde, è stata utilizzata in passato in stucchi decorativi e piccoli intarsi ceramici. Ancora oggi, la polvere di serpentino viene impiegata in velature murali, conferendo tappeti verdi tenui e materici, testimoniando un legame forte tra materia locale e tecniche tradizionali .

Per completezza, aggiungo l’uso del bianco di calce naturale, definito già nel Trecento come “bianco di San Giovanni” o “bianco lime”: preparato ricavato dalla carbonatazione del calcare, è documentato nelle tecniche pittoriche murali come pigmento schiarente e legante per affreschi e malte traspiranti

Vista su una delle cave di Botticino - Brescia

Vista su una delle cave di Botticino – Brescia

I Pigmenti Lombardi nella Storia e nell’Arte

In Lombardia il colore ha sempre viaggiato sulla doppia strada dell’architettura e della pittura, trovando materia prima nelle pietre e nelle terre locali e volto negli artisti che le hanno impiegate.

Il marmo di Candoglia, estratto per le guglie del Duomo di Milano, non era solo materia di costruzione: i ritagli più fini e la polvere residua venivano mescolati a gesso e calce per ottenere stucco bianco‑rosato, usato dalle maestranze che intonacavano le cappelle interne. Proprio in quegli spazi, Leonardo da Vinci, fattosi le ossa nei cantieri milanesi, studiò la resa della luce sulle superfici chiare, usando il bianco “industriale” dei marmi come base per i suoi sfumati.

Le Guglie del Duomo di Milano

Le Guglie del Duomo di Milano

Più a sud, fra le mura di Pavia, i mattoni delle torri medievali conservano ocra e terra rossa di pianura, tinte che si ritrovano nei panneggi delle tele di Bernardino Luini nella chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore. Luini, vicino a Leonardo, selezionava terre locali macinate grossolanamente per dare ai suoi colori una materia viva e leggermente granulosa, che rendeva le ombreggiature più avvolgenti.

Affreschi di Bernardino Luini nella chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore

Affreschi di Bernardino Luini nella chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore

A Brescia, il Duomo Nuovo e la Loggia si specchiano nei riflessi del Botticino Classico, un calcare avorio‑perlaceo macinato anche finemente come pigmento; la sua polvere ha permesso ai restauratori di ricreare intonaci traspiranti dal bianco caldo, simile a quello che Caravaggio, nato nella città di Caravaggio (BG), avrebbe apprezzato per i suoi potenti effetti di luce e ombra .

Duomo Nuovo di Brescia

Duomo Nuovo di Brescia

Infine, le facciate palladiane di Vicenza alternano stucchi bianchi di calce e polvere di Botticino con intonaci ocra‑mattone ottenuti da terre rosse veronesi, un dialogo cromatico che risuona nei lavori di artisti come Giovanni Antonio Fasolo, la cui tavolozza comprendeva proprio quei toni terrosi delle colline beriche.

VIlla Palladiana di Vicenza citta

Villa Palladiana di Vicenza 

I Colori di Milano Città

Milano si riconosce subito dal bianco‑rosato del marmo di Candoglia, usato per le guglie e le facciate del suo celebre Duomo: una pietra levigata che, macinata in polvere, ha dato vita a stucchi interni dal tono caldo e perlaceo . A contrasto, le antiche cortine dei mattoni rossi delle case e dei portici offrono un rosso terroso, frutto delle argille della pianura padana, ancora oggi visibile nei cortili dei Navigli e nelle cascine di periferia. Questa combinazione di bianco e rosso rimanda a cinquecento anni di artigianato milanese, dove materia e luce plasmano il volto metropolitano.

Applicazioni Contemporanee nell’Edilizia Tradizionale

La Lombardia custodisce una varietà di terre coloranti ben più ampia di quelle che abbiamo potuto documentare: argille giallo‑ocra della Brianza, marne rosse del Sebino, polveri bianche delle dolomie gardesane e persino sabbie ferruginose del Cremonese. Purtroppo, molte di queste cave sono oggi chiuse o dimenticate, e i documenti storici sulle loro estrazioni sono scarsi o dispersi nei fondi d’archivio, rendendo difficile ricostruire la mappa completa dei pigmenti naturali lombardi .

Questa situazione non riguarda solo un passato lontano: alcune fornaci di calce hanno cessato l’attività all’inizio del XX secolo, lasciando tracce soltanto nelle annotazioni catastali o nelle memorie orali degli ultimi maestri artigiani. Senza un recupero sistematico di queste fonti e un rilancio delle attività estrattive in piccola scala, rischiamo di perdere per sempre una tavolozza che è stata il cuore dei nostri monumenti, delle nostre ville e dei nostri cortili.

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