• Colori Della Toscana

Le Terre Naturali della Toscana

Alla Scoperta di Pigmenti e Terre Coloranti Toscane

In Toscana il colore nasce dalle argille ricche di ferro della Valdelsa, dai sabbioni giallo-ocra dei monti Pisani, dalle terre brune di Volterra e dalle polveri di creta bianca dei depositi pliocenici. Qui gli artigiani hanno imparato a riconoscere ogni sfumatura scavando nelle cave di Monteriggioni, setacciando l’argilla nelle acque del Cecina e macinando a mano il terreno su pietre arenarie.

Le terre di Siena – conosciute sin dal Rinascimento – sono forse il pigmento naturale più celebre della regione: argille calcinabili che vanno dal giallo dorato (Siena chiara) al rosso bruciato (Siena bruciata), ottenute da cave storiche vicino a Città della Pieve e Rapolano Terme. Questi pigmenti hanno colorato le pale d’altare dei pittori senesi, gli affreschi di Piero della Francesca e le facciate delle ville medicee, fornendo toni caldi, stabili alla luce e perfetti per le corti rinascimentali.

Ma la Toscana offre molto di più: nelle balze etrusche di Volterra affiorano terre bruno-rossastre impiegate per intonaci rustici e decori popolari; sulle colline metallifere dell’Amiata, le terre nere ricavate da depositi di manganese venivano usate come pigmento scuro in malte a cocciopesto; lungo i torrenti del Casentino, le argille giallastre regolavano l’umidità dei muri delle pievi rurali.

Le Terre Colorate Toscane

Pigmenti Naturali e Zone di Origine

Argille Ferrrose della Valdelsa

Tra i comuni di Colle di Val d’Elsa e Monteriggioni, affiorano argille ricche di ossidi di ferro (> 15 % Fe₂O₃) che donano una tonalità rosso mattone caldo. Queste terre, una volta decantate e setacciate, venivano usate per intonaci esterni e per la preparazione di malte pigmentate resistenti alle intemperie.

Sabbie Gialle dei Monti Pisani

Le sabbie limonitiche affiorano sui Monti Pisani, in prossimità di Calci e Vicopisano. Contenendo limonite fino al 20 %, producono un’ocra gialla chiara, adatta a decorazioni interne e intonaci sottili. Gli artigiani le lavavano in acqua corrente per eliminare i granuli grossolani, poi le macinavano in mulini di pietra.

Terre Brune di Volterra

Nell’area degli antichi Alabastrai, a Volterra, affiorano terre bruno‑rossastre miste a caolino, ricche di ossidi di manganese. Frantumate e decantate, danno un pigmento bruno scuro, impiegato nei rivestimenti rustici e nei decori a scialbo delle pareti rurali.

Argille Giallastre del Casentino

Lungo le rive del Casentino, tra Bibbiena e Poppi, si raccolgono argille giallastre con limonite e goethite (10–15 %). Decantate in tinozze, queste terre offrono un’ocra tenue, usata in stucchi interni e finiture decorative nelle pievi romaniche.

Terre Nere dell’Amiata

Intorno al massiccio dell’Amiata, depositi ferrosi e lignitici producono terre scure, quasi nere. Mescolate a calce nei vecchi forni, creavano intonaci “a pietra lavica” resistenti all’umidità, ancora visibili in cortili di Santa Fiora e Piancastagnaio.

Vista sui Monti Pisani

Vista sui Monti Pisani

Le Celebre Terra di Siena

La Terra di Siena è uno dei pigmenti naturali più famosi al mondo, la cui storia inizia sulle colline calcaree e argillose fra Rapolano Terme, Arbia e Città della Pieve. Questa regione, caratterizzata da depositi pliocenici ricchi di argille limonitiche e ossidi di ferro, fornisce due varianti principali: la Siena Chiara, dal giallo dorato, e la Siena Bruciata, un rosso bruno ottenuto mediante calcinazione in forni tradizionali.

L’estrazione avviene ancora oggi in cave a cielo aperto, dove le argille vengono raccolte, essiccate al sole e fatte decantare in vasche d’acqua per rimuovere impurità grossolane. Successivamente la materia prima viene calcinata a circa 600 °C per ottenere la tonalità bruciata, quindi macinata più volte su mulini in pietra fino a raggiungere una finissima granulometria (2–10 µm). Questo processo artigianale – invariato da secoli – garantisce a Siena Bruciata un potere coprente elevato e una stabilità alla luce che ne ha fatto un puntello della pittura rinascimentale e barocca .

Il pigmento comparve nei laboratori dei grandi maestri fin dal XV secolo. Piero della Francesca lo impiegò nelle sue pale umbre, ma fu nella Scuola Senese che la Terra di Siena divenne icona cromatica: Domenico Beccafumi e Sano di Pietrola usarono per dare calore ai drappeggi e profondità alle ombreggiature nelle chiese di Siena e Pienza. Nel Seicento, i pittori barocchi ne sfruttarono la resa terrosa per conferire matericità alle pale d’altare delle Chiese di San Domenico e di Santa Maria dei Servi .

Oggi la Terra di Siena è largamente impiegata non solo in pittura artistica, ma anche in bioedilizia: miscelata a calce aerea produce intonaci colorati traspiranti, mentre nei restauri garantisce un ritocco cromatico fedele ai manufatti storici. Numerosi produttori certificati – come Ferreira, Sinabro e Siena Pigments – offrono varianti certificate ISO, mantenendo viva la tradizione di un pigmento che, come pochi altri, unisce la forza della natura toscana alla sensibilità dell’arte mondiale.

I Colori della Città di Firenze

A Firenze il colore delle pietre e delle superfici nasce innanzitutto dalla terra rossa di Impruneta, dal giallo ocra del Valdarno e dalle argille montane raccolte sui colli attorno alla città. Queste materie prime hanno plasmato non solo i tetti e le facciate – pensiamo alle tegole del duomo di Santa Maria del Fiore – ma anche le tonalità calde delle pale d’altare e dei decori rinascimentali.

La terra di Impruneta, un’argilla ferrigna estratta nelle storiche cave di Galliano e Baruffi, è alla base dell’inconfondibile rosso terracotta dei coppi e delle maioliche fiorentine. Questa argilla, setacciata e macinata con mulini in pietra, conferisce alle superfici un calore intenso e una capacità di resistere al gelo e alle piogge, qualità che Brunelleschi sfruttò nella cupola del duomo, coperta ancora oggi da coppi inverdenti dal tempo.

L’ocra gialla del Valdarno, ricca di limonite, affiora lungo le rive dell’Arno, in particolare tra Pontassieve e Cavriglia. Gli artigiani fiorentini la impastavano a calce per ottenere intonaci dai toni caldi e luminosi, visibili nei chiostri di Santa Croce e nei cortili delle botteghe rinascimentali. Il suo potere riflettente contribuiva a illuminare gli ambienti interni, valorizzando gli stucchi e gli affreschi di Giotto e Ghirlandaio.

Accanto a questi, le argille grigie e verdi provenienti dalle colline di Fiesole e di Settignano fornivano sfumature più tenui, usate per preparare fondi e velature nei dipinti sacri. Queste terre, lavorate in tinozze di legno e lasciate decantare, garantivano una granulometria finissima (5–15 µm) che rese possibile la resa delicata dei dettagli nelle pale d’altare di Sandro Botticelli, nei dipinti della Madonna del Magnificat.

I Pigmenti Toscani nella Storia e nell’Arte

La storia dei pigmenti in Toscana si intreccia con le civiltà che hanno abitato queste terre fin dall’età etrusca. Gli Etruschi di Volterra, miscelavano ocre rosse e gialle estratte da depositi locali (ematite e goethite) con polveri di carbone e calce, creando freschi capaci di resistere all’umidità delle necropoli ipogee. Nei complessi etruschi di Volterra, gli intonaci a base di Ocra Rosso, Ocra Giallo e Nero Carbone hanno sfidato i millenni.

Vista della Città di Volterra

Con l’avvento di Roma, i maestri muratori applicarono le stesse terre alle malte idrauliche, mescolando pozzolana di Tivoli e terre rossastre per rivestire templi e domus patrizie. Vitruvio, nel De Architectura, raccomandava l’impiego delle ocra locali per garantire colori stabili sui muri, citando l’efficacia della cenere vulcanica come legante e le argille ferrose per le tinte più vive .

Nel Medioevo e nel primo Rinascimento, Firenze divenne culla di innovazioni pittoriche. Giotto, nelle cappelle di Santa Croce e degli Scrovegni, utilizzò terre di Siena e ocra gialla del Valdarno per modellare volti e panneggi, sfruttando la granulometria fine di questi pigmenti per sfumature morbide e permanenti.

La Cappella Bardi nella basilica di Santa Croce

La Cappella Bardi nella basilica di Santa Croce

In epoca quattro‑cinquecentesca, artisti quali Michelangelo e Leonardo da Vinci si servirono delle terre toscane per preparare le proprie tavolozze: Michelangelo ad esempio impiegò ocra e sienna nelle dorature degli stucchi vaticani prima di passare all’olio. Da qui in poi, la tradizione continuò con Vasari, Cellini e i maestri del manierismo, fino ai restauratori odierni che richiamano la stessa materia prima per restituire autenticità ai monumenti fiorentini.

Applicazioni Contemporanee nell’Edilizia Tradizionale

Chi oggi cammina tra le strade di Firenze, Siena o Volterra vede colori che vengono da lontano, da cave a cielo aperto e da vecchi mulini a pietra. Quel rosso caldo della Terra di Siena, quel giallo solare dell’ocra del Valdarno, il tenue grigio‑verdastro delle argille di Fiesole: non sono tinte scelte a tavolino, ma polveri vive nate dal cuore della Toscana.

Artigiani e restauratori di oggi raccolgono con cura queste terre, le lavorano come facevano i loro antenati e le mescolano a calce o a leganti naturali, ridando vita agli intonaci delle piazze storiche, alle pale d’altare delle chiese e alle volte delle antiche botteghe. È un gesto lento, fatto di mani sporche di pigmento, di sassi e tinozze, ma forse è proprio questo a renderlo così autentico: chi impasta la terra la conosce davvero, sa come risponde al tatto e al tempo.