Chi lavora con le mani sa che ogni terra ha un suo odore, una sua grana, un colore che cambia anche solo spostandosi di pochi chilometri. L’Emilia-Romagna, terra di passaggi e di confini, di argille e calanchi, è una regione che racconta se stessa anche attraverso i colori che affiorano dal sottosuolo. Dai toni ocra delle colline parmensi alle terre rosse e grigiastre dell’Appennino bolognese, passando per le sabbie giallastre della Romagna, qui i pigmenti non sono solo materiali: sono storia, sono cultura, sono impronta viva di una tradizione che attraversa secoli.
Queste terre hanno segnato i muri delle case coloniche, ma anche le grandi opere di arte sacra e civile: le sfumature ocra delle facciate barocche delle chiese, i toni mattone delle corti rurali, i grigi salmastri dei portici medievali di Bologna. Ogni colore racconta un pezzo di territorio e di storia: non è un’invenzione di cartiera, ma una polvere nata dal terreno, fidata compagna dei muratori e dei decoratori locali.
Le Terre Colorate Emiliane e Romagnole
Pigmenti Naturali e Zone di Origine
In Emilia‑Romagna i pigmenti nascono dalle sue pieghe geologiche: i colli parmensi, la grande golena del Po, le rive del Secchia e i versanti dell’Appennino bolognese. Qui gli artigiani riconoscono ogni materia prima scavando, setacciando e macinando la terra su pietre locali, trasformando argille, sabbie e marne in polveri dai toni vivi e autentici.
Argille Rosse dei Colli Parmensi
Sulle pendici del Parco dei Cento Laghi, tra Langhirano e Corniglio, affiorano argille ferrose con oltre il 20 % di ossidi di ferro. Estratte in cave di piccole dimensioni, vengono decantate in tinozze e macinate su pietra arenaria per ottenere un pigmento di un rosso mattone intenso, resistente all’umidità e perfetto per intonaci rustici e decorazioni murali.
Sabbie Gialle della Golena del Po
Lungo l’alveo del Po, in corrispondenza delle zone di Guastalla e Boretto, si depositano sabbie limose e limonitiche che, una volta setacciate e fatte decantare, producono un’ocra gialla dal tono caldo e paglierino. Questo pigmento è stato storicamente usato nei pavimenti in cocciopesto delle ville rurali e nei rivestimenti interni delle case coloniche.
Marne dell’Appennino Bolognese
Tra Monteveglio e Sasso Marconi, le marne calcaree‑argillose affiorano in pareti compatte. Ridotte in polvere, danno origine a un pigmento grigio‑beige con leggere venature verdi, ideale per intonaci a “spatolato” e per velature architettoniche che richiedono sfumature delicate.
Terre di Carparo
Il carparo, un tufo vulcanico compatto, era estratto nelle ghiaie tra Reggio Emilia e Modena. Macinato finemente, produce un pigmento grigio‑ardesia usato nei pavimenti a mosaico e nelle soglie lapidee dei portali storici. Ancora oggi viene impiegato in contesti di restauro come base scura per stucchi e intonaci a calce.
I Pigmenti dell’Emilia-Romagna nella Storia e nell’Arte
In Emilia‑Romagna i pigmenti naturali non hanno solo colorato affreschi e tele, ma hanno plasmato anche lo stile degli edifici civili e religiosi, diventando parte integrante dell’arte e dell’architettura regionale.
Il terriccio rosso ricavato dalle argille dei Colli Parmensi divenne la base cromatica per le carnagioni morbide e calde di Antonio da Correggio, il grande maestro rinascimentale di Correggio (Parma). Nei suoi affreschi della Cattedrale di Parma, le sfumature di ocra e rosso mattone, miscelate a calce e olio, esaltano le volute barocche che preannunciano la pittura a olio emiliana.
A Modena, Parmigianino usò tonalità più tenui di terra gialla estratta nella media pianura reggiana per i suoi ritratti eleganti come il celebre Autoritratto nello specchio convesso; l’ocra chiara unita a un fondo grigio‑beige richiama le marne dell’Appennino bolognese, dando luce ai dettagli ornamentali .
Nel Seicento, la scuola dei Carracci a Bologna mescolava il Nero Roma (PBk6) con pigmenti locali per ottenere ombre profonde nei cicli di affreschi di Annibale Carracci nella Galleria Farnese, dove i toni scuri si fondono con architetture fittizie in mattone e stucco dipinto su intonaci color sabbia, un richiamo ai sedimenti fluviali del Po .
Anche l’architettura civile accolse i colori della terra. I celebri portici di Bologna, realizzati in mattoni dell’Argine Panaro, mostrano un rosso vivo che cambia tono col tempo, mentre a Ferrara i palazzi estensi si rivestono di intonaci ocra chiaro tratti dalle sabbie della golena del Po, creando un effetto di luminosità tipico del Rinascimento emiliano.
Sono emblematici i lavori di Francesco Borromini, che a Modena e Reggio si ispirò alle marne grigie locali per definire i basamenti delle columnate e le cornici in stile barocco, con un contrasto di colore che sottolinea volumi e prospettive .
Il dialogo tra pigmento e architettura continua ancora oggi nei restauri delle abbazie cistercensi di Pomposa e Nonantola, dove i toni ocra, rosso e grigio‑beige delle superfici integrano la pietra locale e i mattoni originali, restituendo la forza espressiva di un’arte costruita sulla materia prima del territorio.
I Colori di Bologna Città
A Bologna il colore autentico nasce dal laterizio dei suoi portici e dalle argille dei calanchi. Il tipico rosso mattonederiva dalle argille scagliose dell’area dei Gessi Bolognesi, estratte in cave storiche come quelle dell’Abbadessa, frantumate e cotte fino a 900 °C. Questo pigmento infornato definisce le superfici esterne di San Petronio, delle Due Torri e dei portici monumentali, assumendo sfumature dal rosato al ruggine a seconda del punto di estrazione e della sapienza dei fornaciai .
Oltre al mattone, le terre gialle di origine limonitica, raccolte lungo i fiumi fino alle sabbie fluviali del Reno, venivano decantate e macinate a mano per ottenere un’ocra paglierino utilizzata nei rivestimenti interni e negli stucchi delle corti rinascimentali. Ancora oggi, piccoli laboratori artigiani mescolano queste polveri a calce naturale per intonaci traspiranti e toni caldi, riprendendo le sfumature che si ammirano nei chiostri di Santa Cristina e nelle sale affrescate di Palazzo d’Accursio .
Infine, il grigio gessoso dei calanchi – polvere di gesso misto argilla – serviva a schiarire gli intonaci in bioedilizia e a creare stucchi dal chiaroscuro morbido, una pratica ancora viva nei restauri dei complessi monastici. È questa combinazione di rosso vivo, ocra soffusa e grigio caldo a costituire la tavolozza naturale di Bologna, una materia cromatica intrecciata con la geologia locale e il gesto artigiano.
Applicazioni Contemporanee nell’Edilizia Tradizionale
Oggi in Emilia‑Romagna il recupero delle terre naturali non è solo un tributo al passato, ma una scelta concreta per il restauro e la bioedilizia. Le argille rosse dei Colli Parmensi, impiegate un tempo nei mattoni medievali, tornano a vivere in piccoli lotti artigianali per il rifacimento di intonaci “a spacco” nelle corti rurali, garantendo una resa cromatica autentica e una tenuta traspirante. L’ocra gialla delle sabbie del Po e del Reno, setacciata e macinata a mano, è oggi apprezzata nei laboratori di restauro per le sue doti di luminosità e stabilità, utilizzata in soffitti lignei e stucchi decorativi.
Le marne grigie dell’Appennino bolognese trovano impiego nei progetti di bioedilizia, dove il pigmento di calce e terra fornisce finiture materiche che regolano umidità e temperatura. Nei centri storici di Modena e Ferrara, alcuni restauratori sperimentano miscele di gesso calcareo e polveri locali per riprodurre fedelmente le superfici settecentesche delle piazze e delle facciate.
Anche il carparo di Reggio Emilia e Modena, ridotto in polvere, è tornato protagonista nei restauri delle soglie lapidee e delle decorazioni a “finto marmo”, grazie alla sua tonalità grigio‑ardesia. Piccole imprese familiari, spesso nate da antiche fornaci, mantengono vive le tecniche di macinatura su pietra e decantazione in tinozze, offrendo pigmenti certificati per monumenti, palazzi storici e progetti di design sostenibile.
Sorgenti e Approfondimenti: ambiente.regione.emilia-romagna.it – bolognawelcome.com – unpostobello.it – unimore.it – esempidiarchitettura.it