Verde brentonico, estratto dalle rocce dolomitiche di Brentonico in Trentino-Alto Adige; rosso veneto, ricavato dalle argille delle pianure intorno a Verona; terra di Siena, sublimata dalle colline toscane; nero Roma, frutto della combustione dei calcari laziali; rosso Pozzuoli, vivo come il sole campano che bacia i tufi del Golfo. Questi pigmenti – cari già agli antichi Romani – venivano imbarcati verso ogni angolo del Mediterraneo per tingere templi, ville patrizie e basiliche imperiali.
Oggi, sulle facciate delle città italiane, ritroviamo le stesse polveri che un tempo attraversarono rotte commerciali millenarie: dai toni verde-muschio delle architetture trentine alle sfumature calde delle case veronesi, dal giallo ocra e marrone scuro delle torri senesi al grigio profondo delle vie romane, fino al rosso infuocato dei vicoli flegrei. In questo viaggio esploreremo come queste terre – figlie della geologia e plasmate dal lavoro artigiano – abbiano modellato l’identità urbana italiana, trasformando muri e piazze in una tavolozza viva di storia, natura e cultura.
MILANO
Brera, Navigli, Porta Romana, Isola, Porta Venezia, Porta Nuova, Città Studi..
Milano deve la sua identità visiva ai due materiali coloranti meglio documentati nella sua storia edilizia: il marmo di Candoglia, scelto fin dal XIV secolo per la costruzione del Duomo grazie alla sua grana fine e alle calde venature dorate, e il laterizio rosso cotto della Brianza, lavorato in fornaci artigianali che ne garantivano tonalità uniformi dal mattone chiaro all’aranciato intenso. Il marmo di Candoglia, estratto nelle cave ossolane e trasportato lungo il fiume Adda, non solo conferisce al Duomo quell’aspetto celestiale e luminoso, ma ha anche ispirato le decorazioni marmoree dei palazzi nobiliari circostanti, dove capitelli, colonne e soglie hanno mantenuto nel tempo la loro lucentezza originaria. Allo stesso modo, i cortili rinascimentali e i lungonavili un tempo animati dai flottaggi dei barconi ospitano ancora portici sostenuti da archi in mattone pieno, il cui rosso brianzolo riscalda le ombre delle vie e rende omaggio alle fornaci che hanno alimentato il boom del cotto milanese tra Sei e Settecento. Questi due materiali, celebri e ampiamente certificati, rappresentano solo la punta dell’iceberg cromatico di Milano: nelle cantine, nei depositi e nei laboratori di restauro si scoprono ancora pigmenti meno noti – polveri di granito grigio, sabbie fluviali, intonaci storici mescolati a terre d’importazione – che raccontano una tavolozza urbana di grande complessità. In ogni lastra, in ogni mattone, si nasconde il lavoro di artigiani e geologi: un mosaico di colore che continua a evolvere, richiamando antiche tradizioni e nuove sperimentazioni.
PALERMO
Kalsa, Albergheria, Monte di Pietà, Ballarò, Politeama, Mondello, Zisa..
Palermo è una città dove la materia racconta secoli di incontri. Il colore dominante è il giallo dorato della sua calcarenite, conosciuta localmente come “tufo giallo di Palermo”, estratta sin dall’antichità dalle cave del Monte Pellegrino e di Billiemi. Questa pietra, porosa e luminosa, ha dato forma a palazzi, chiese e mura, riflettendo la luce del Mediterraneo con una tonalità calda e viva. Nei quartieri storici della Kalsa e dell’Albergheria, molti edifici mostrano ancora intonaci a base di calce e polvere di tufo, spesso ravvivati da pigmenti naturali locali come le ocra rosse e le terre grigie di monte Cuccio, usate per decorare cornici, finestre e archi interni. A Monte di Pietà e Ballarò, le botteghe artigiane tramandavano miscele che univano sabbie laviche e terre ferrose, provenienti dall’entroterra siciliano, capaci di creare sfumature calde e resistenti all’umidità. Anche i quartieri ottocenteschi come Politeama e i villini di Mondello riflettono questo equilibrio tra pietra locale e pigmenti naturali: nei loro decori sopravvivono tracce di terre brune di Misilmeri e rossi di Piana degli Albanesi, lavorati a calce per ottenere velature compatte. La stratificazione cromatica di Palermo, testimoniata da numerosi restauri, è un archivio vivo della materia: ogni sfumatura rivela una geografia minerale unica e una cultura della costruzione profondamente radicata nel territorio.
GENOVA
Centro Storico, Boccadasse, Albaro, Nervi, Sampierdarena, Pegli, Foce..
Genova conserva il suo fascino storico nelle sfumature dei materiali più conosciuti: il rosa ligure, ottenuto dalle argille del Promontorio di Portofino, e il giallo delle Cinque Terre, un’ocra estratta dai sedimenti marini che un tempo scorrevano lungo i rii del centro storico. Questi due pigmenti, ampiamente documentati sin dal Rinascimento, rivestono le facciate dei celebri palazzi dei Rolli, dove la calce spenta mescolata alle polveri naturali restituisce tonalità calde e delicate, capaci di filtrare la luce del Golfo in un gioco di chiaroscuri mutevoli. Il rosa si staglia sui marcapiani e sulle cornici ornate, mentre il giallo illumina gli archi dei porticati, creando un contrasto armonioso con il profondo blu del mare sottostante. Il Palazzo Ducale, epicentro delle repubblica marinara, esibisce ancora oggi gli intonaci originali: calce bianca unita al rosa ligure, che evidenzia i rilievi architettonici e valorizza gli affreschi interni. Allo stesso modo, nei vicoli più stretti, è possibile riconoscere tracce di miscele storiche – sabbie fluviali, terre importate via nave e residui di marmi locali – che integrano e arricchiscono la tavolozza ufficiale della città. Questi materiali, al pari del rosa e del giallo documentati, raccontano un rapporto millenario tra Genova e il suo territorio, fatto di caricatori, cantieri navali e botteghe artigiane, che ancora oggi mantengono viva la tradizione dei pigmenti naturali. Inoltre, numerosi frammenti di stucchi originali ritrovati nei restauri suggeriscono la presenza di altri terre meno note, pronte a rivelare ulteriori stratificazioni di colore nella Superba.
CAGLIARI
Castello, Stampace, Marina, Villanova, Poetto, Quartu, Is Mirrionis..
Cagliari deve la sua tavolozza urbana soprattutto all’arenaria rosa, pietra calcarea estratta dalle alture del quartiere di Castello fin dall’epoca punica, e al calcare bianco, utilizzato per i monumenti più solenni di Stampace e Marina. Le mura della Torre dell’Elefante e del Bastione di Saint Remy mostrano ancora oggi i toni caldi dell’arenaria, accostati al candore dei bassorilievi in calcare che catturano la luce del sole sardo. Nei rioni di Villanova e Is Mirrionis emergono poi gli intonaci a base di sabbie lagunari, miscelate a calce per proteggere le facciate dall’azione del salsedine e conferire una patina morbida e resistente. Lungo il Poetto, i riflessi marini si mescolano alle venature naturali delle pietre locali, creando un contrasto vivo tra il turchese del mare e il rosa dorato delle rocce. Quartu Sant’Elena, infine, conserva tracce di laterizi rossi e di terre di Silius, impiegati fin dal Medioevo per erigere le antiche torri costiere. Questi materiali, ampiamente documentati e certificati, rappresentano solo una parte del ricco patrimonio cromatico di Cagliari, pronto a svelare nuove sfumature nei laboratori di restauro e nei cantieri artigiani.
BARI
Murat, Vecchia, Poggiofranco, Libertà, Madonnella, Palese, San Girolamo..
Bari è costruita sulla luce del suo calcare bianco, una pietra compatta e riflettente estratta per secoli dalle cave dell’entroterra barese, in particolare nei dintorni di Conversano e Bitonto. Questa roccia dolomitica, facile da scolpire e resistente alla salsedine, ha dato forma alle facciate lineari del quartiere Murat, ma anche agli archi romanici e ai vicoli irregolari della città vecchia, dove il bianco poroso si fonde con le ombre del labirinto urbano. Insieme al calcare, Bari ha fatto largo uso del tufo dorato, più morbido e venato, visibile nei sottarchi e nelle pareti di case popolari e palazzi ottocenteschi, soprattutto nei rioni Libertà e Madonnella. Qui, gli intonaci a base di calce venivano spesso miscelati con sabbie costiere, dalle sfumature giallo-grigiastre, per proteggere le pareti dall’umidità e dal sale trasportato dal vento di mare. Nei quartieri più recenti, come Poggiofranco e San Girolamo, si trovano invece esempi di laterizi rossi locali, cotti in fornaci artigianali attive fino alla metà del Novecento. Alcuni restauri nel centro storico hanno inoltre riportato alla luce tracce di pigmenti naturali ormai rari, tra cui terre ferrose provenienti dalle Murge e impasti minerali provenienti dai canali interni del porto. Queste combinazioni di materiali, testimoni di una lunga tradizione costruttiva, continuano a definire l’identità materica della città.
BOLOGNA
Centro Storico, Santo Stefano, San Donato, Saragozza, Bolognina, San Vitale, Murri..
Bologna è una città costruita letteralmente con la terra. Il suo colore caratteristico nasce dal largo impiego di laterizi in cotto rosso, prodotti da secoli con le argille locali dell’Emilia, ricche di ossidi di ferro. Dai portici del centro storico alle case popolari della Bolognina, il rosso bolognese si declina in mille toni: ocra caldi, aranci bruciati, vermigli polverosi, a seconda della temperatura di cottura e della miscela d’argilla. Ma sotto l’uniformità apparente si nasconde un ricco repertorio di pigmenti naturali: terre gialle per patinare le facciate, ocra rosse e brune per i dettagli architettonici, nero fumo e fuliggine per ombreggiare e proteggere le superfici esposte. Sui muri del centro, spesso si ritrovano intonaci storici a base di calce e sabbia silicea dell’Appennino, miscelati con polveri coloranti locali che offrivano resistenza e tonalità compatte. Alcuni restauri documentano anche l’uso di terre di Modena e pigmenti provenienti dal vicino Appennino tosco-emiliano, impiegati in decorazioni di interni e stucchi. I palazzi nobili di Saragozza e Santo Stefano mostrano ancora oggi stratificazioni cromatiche antiche, segno di un sapere artigiano sedimentato nei secoli e di un’intelligenza urbana capace di trasformare la materia in identità.
CATANIA
Centro Storico, Civita, Picanello, San Berillo, Ognina, Nesima, San Cristoforo..
Catania è una città costruita sulla pietra scura delle sue eruzioni. Il basalto lavico dell’Etna, tagliato a blocchi nelle cave ai piedi del vulcano, è il materiale più riconoscibile dell’architettura cittadina. Si trova ovunque: nei gradini consumati dei marciapiedi, nei portali, nei muri perimetrali. Dopo la distruzione del 1693, gran parte del centro fu ricostruita proprio con questo materiale, spesso abbinato ad intonaci a calce preparati con pigmenti locali. Nella Civita e a San Berillo, molte facciate portano ancora tracce di terre rosse di Adrano, usate per rifinire le superfici e ravvivare il colore delle pareti. In altre zone, come Picanello e Ognina, si ritrovano invece patinature realizzate con terre brune dell’entroterra e sabbie vulcaniche, che rendevano gli intonaci più resistenti e opachi. Queste tecniche, tramandate da muratori e decoratori locali, si basavano su materiali facili da reperire e su formule semplici, adatte a un clima caldo e umido. Nei palazzi barocchi del centro, come lungo via Crociferi, il contrasto tra la pietra nera e gli intonaci colorati continua a definire l’aspetto della città. Ancora oggi, restauratori e artigiani scoprono sotto le superfici moderne strati di materia antica, fatta di calce, cenere, sabbia e terre etnee.
NAPOLI
Spaccanapoli, Sanità, Chiaia, Forcella, Posillipo, Materdei, Vomero..
Napoli è una città che nasce dalla pietra e dal fuoco. La sua identità materica è segnata dal largo uso del tufo giallo napoletano, una roccia vulcanica porosa e leggera, scavata fin dall’antichità nelle cave di Pianura, Posillipo e del Vomero. Questo materiale ha costruito il cuore della città storica: muri spessi, volte a botte, scale interne e facciate scolpite, soprattutto nei quartieri di Spaccanapoli, Forcella e Sanità. Accanto al tufo, molte superfici sono state rifinite con intonaci a calce colorati con pigmenti naturali provenienti dall’area flegrea. Le terre rosse di Pozzuoli, cariche di ossidi di ferro, erano tra le più apprezzate per la loro stabilità e durata, spesso usate per le velature protettive o per dettagli architettonici. In alcune zone, come Materdei e Chiaia, si ritrovano tracce di terre grigie e brune provenienti dalla zona vesuviana, mescolate con sabbie fini per ottenere superfici compatte e resistenti. Il giallo di tufo, abbinato a velature rossastre o brunite, creava una gamma cromatica calda e profonda, visibile ancora oggi nei palazzi del centro antico e nei cortili nascosti. Anche nel Vomero e a Posillipo, le architetture dell’Ottocento hanno spesso mantenuto questo legame con i materiali locali, riflettendo la stessa attenzione all’uso delle terre naturali e alla resa cromatica degli intonaci. Napoli è così: stratificata, minerale, costruita con ciò che la sua terra vulcanica ha sempre offerto.
FIRENZE
Oltrarno, San Lorenzo, Santa Croce, Campo di Marte, Santo Spirito, Novoli, Rifredi..
Firenze è una città fatta di pietra serena, calce e terre gialle. Nei suoi quartieri storici, come Oltrarno, San Lorenzo e Santa Croce, il colore dominante delle facciate nasce da un impasto sapiente di intonaco a calce miscelato con terre naturali provenienti dalle colline circostanti. La più diffusa è la terra gialla, usata da secoli per dare alle superfici quel tono caldo e opaco che caratterizza i vicoli e le corti interne. Accanto a questa, i decoratori impiegavano spesso ocra rosse della zona del Valdarno e terre brune raccolte nelle aree argillose tra Fiesole e Impruneta. In Oltrarno e Santo Spirito, botteghe e case popolari mostrano ancora i resti di questi strati antichi: velature leggere, date a pennello o a spugna, pensate per proteggere l’intonaco e armonizzarsi con la luce della città. La pietra serena, usata per cornici, finestre e logge, completava l’insieme con il suo grigio neutro e polveroso. A Novoli, Rifredi e Campo di Marte, l’espansione novecentesca ha mantenuto in parte queste tonalità tradizionali, anche se con tecniche più moderne. Ma è nel centro storico che si percepisce ancora il ritmo del colore dato dalla terra: ogni facciata porta i segni del tempo, del sole e dei pigmenti usati, come se la città intera fosse stata intonacata a mano da generazioni di artigiani. Firenze non è solo colore: è il risultato di una scelta precisa dei materiali, fatta per durare e per legarsi alla natura del suo paesaggio.
VENEZIA
Cannaregio, Castello, Dorsoduro, San Marco, Santa Croce, San Polo, Giudecca..
Venezia è una città sospesa tra acqua e calce, dove il colore si mescola all’umidità e al sale. Gran parte delle sue facciate storiche è rivestita da intonaci a base di grassello di calce e sabbia silicea, spesso pigmentati con terre naturali provenienti dalla terraferma veneta. Il più noto tra questi pigmenti è il rosso Veneto, una terra ferruginosa estratta fin dall’antichità nell’area dei Colli Euganei e di Verona, usata per ottenere i caratteristici toni rosati e aranciati che vestono interi campi e calli. Accanto a questa, erano comuni anche le terre ocra del Montello e del basso Vicentino, ideali per sfumature gialle e dorate, perfette per riflettere la luce vibrante della laguna. Nei sestieri più antichi, come Castello, Cannaregio e San Polo, molte superfici conservano ancora le patine originali, realizzate a pennello o a frattazzo con l’aggiunta di velature a base di latte di calce e pigmenti macinati a mano. In alcune zone, soprattutto nei piani bassi soggetti a marea, si utilizzavano intonaci più densi e resistenti, rinforzati con sabbie locali e terre grigie. A Dorsoduro e alla Giudecca, si trovano ancora esempi di questi trattamenti, in cui la materia è protagonista più del colore. Venezia non è mai monocroma: ogni palazzo racconta una scelta precisa, fatta per resistere all’acqua e al tempo, e per armonizzarsi con il riflesso cangiante del suo paesaggio liquido. I suoi colori naturali non sono mai pieni, ma sempre velati, come se fossero stati sospesi tra la pietra e la nebbia.