I Pigmenti Preferiti da Francisco Goya

Tra i grandi maestri della pittura europea, Francisco Goya occupa un posto unico: un ponte inquieto tra il classicismo settecentesco e le visioni moderne del dolore e dell’inconscio. La sua tavolozza, tutt’altro che accademica, riflette una scelta precisa e consapevole dei pigmenti naturali, usati per scavare nei volti, nella carne e nelle ombre di un’epoca segnata da rivoluzioni e disillusioni. Goya non dipingeva con il solo intento di rappresentare: voleva far sentire il peso fisico della materia, restituire la densità dell’umano. I pigmenti che sceglieva – spesso mescolati con impasti pastosi, carichi, ruvidi – non erano meri strumenti tecnici, ma parte integrante della sua visione. Terre scure, rossi profondi, bianchi coprenti e neri intensi si fanno corpo stesso della pittura.

I Pigmenti della Tavolozza di Francisco Goya

Francisco Goya non si accontentava di stendere colori sulla tela: entrava nel laboratorio del pigmento con la curiosità di un chimico e la sensibilità di un artigiano. Nelle sue botteghe di Madrid e Saragozza sperimentava sistemi di preparazione delle terre e dei minerali, annotando su quaderni di lavoro la granulometria ideale, il rapporto tra olio e polvere e il modo migliore per fissare la lacca. Le sue forniture provenivano tanto da cave spagnole – per l’ocra gialla e la terra d’ombra – quanto dalle rotte commerciali che portavano ultramarini afghani, cinabro italiano e gialli di Napoli, tutti scelti in funzione della resa alla luce calda del Mediterraneo.

A partire dai primi ritratti di corte fino alle terribili immagini delle Pitture Nere, Goya ha sempre fatto del pigmento una leva narrativa: l’ocra calda delle carnagioni giovani nei Caprichos, il nero denso nelle visioni notturne di Saturno, il vermiglione acceso nei drappeggi regali. Ogni colore rispondeva a un’esigenza precisa: le luci dovevano brillare senza virare, le ombre farsi scure e compatte, i rossi attestare la vitalità o la sofferenza dei soggetti.

Le indagini più recenti – dal restauro delle tele al Museo del Prado alle analisi spettroscopiche del Getty Conservation Institute – confermano la costanza di Goya nel prediligere pigmenti naturali, lavorati con cura per non perdere la loro intensità nel tempo. In questo capitolo andremo a scoprire non solo quali terre e minerali usava, ma come la sua mano ne esaltava le qualità: preparando velature trasparenti, spalmando paste dense, modulando ogni strato in base alla luce disponibile.

Nero D’Ossa

Per i neri più profondi, Goya alternava carbone vegetale e nero d’avorio. Nel disegno a olio di Il 3 maggio 1808, i mantelli dei soldati si modellano con nero d’avorio mescolato a terre bruciate, mentre le ombre di sfondo nascono da strati di carbone molto diluiti.

Terra Ombra Bruciata

Pigmento scuro e avvolgente, ricavato riscaldando terre ferruginose, compare con forza nelle ombre taglienti delle Pitture Nere (1820–1823). Goya lo applicava a spatolate grezze su fondo scuro, ottenendo contrasti fortissimi tra figure e sfondo, come in Saturno divora i suoi figli.

Ocra Gialla

Estratta dalle miniere spagnole, l’ocra gialla era il fondo caldo su cui Goya costruiva le prime stesure. Ne troviamo tracce nei toni dorati delle carnagioni giovanili dei Caprichos (1799), dove l’ocra, diluita in olio, si stende in velature sottili e regala un tono di base luminoso, resistente all’invecchiamento.

Rosso Vermiglione

Derivato dal solfuro di mercurio, è il rosso vivo che infiamma i dettagli sanguigni e i drappeggi. Nei ritratti di corte, come ne La famiglia di Carlo IV (1800–1801), Goya dosava il vermiglione nei velluti e nei riflessi dei tessuti, miscelandolo con ocra gialla per temperare la sua potenza.

Lacca di Garanza

Per le tonalità più trasparenti e calde, Goya ricorreva alla garanza, usandola nei tramonti dei Caprichos e in alcuni incendi simbolici nei disegni a sanguigna. Spesso la miscelava con piccole dosi di biacca per renderla meno fugace e più stabile.

Biacca

Irrinunciabile per velature di luce intensa e per cambiare al volo le tonalità chiare, la biacca è evidente nelle luci sulla pelle di La Maja desnuda (1797–1800) e nei riflessi delle armature ne Il Dos de Mayo (1814), dove riflette il candore dei volti sullo sfondo della guerriglia.

I Capolavori di Goya Attraverso i Suoi Pigmenti

Le superfici pittoriche di Goya non raccontano solo storie: mostrano il lavoro del pigmento come materia. In quattro opere emblematiche – Il 3 maggio 1808, La Maja desnuda, Saturno divora i suoi figli e La famiglia di Carlo IV – il dialogo tra luci calde e ombre spesse svela come ogni colore fosse scelto e dosato per un effetto preciso. I rossi di vermiglione, le terre spente, i neri profondi, i bianchi densi e i verdi minerali sono gli strumenti con cui Goya scolpisce le figure, modella il dramma e imprime un carattere unico alle sue scene.

Il 3 maggio 1808 (1814)

Museo del Prado, Madrid

Le divise dei soldati appaiono in un grigio-blu-crema ottenuto miscelando biacca e un tocco di azzurrite, mentre il terreno polveroso è un tappeto di ocra gialla e terra d’ombra bruciata. Goya utilizza il nero d’avorio per delineare la micidiale fissità delle armi, e un sottile velo di biacca schiarisce i volti dei civili, creando un contrasto di luce che sottolinea l’orrore dell’esecuzione.

Il 3 maggio 1808

La Maja Desnuda (1797–1800)

Museo del Prado, Madrid

Il corpo sinuoso della Maja emerge grazie a un “sfumato” di ocra gialla e ocra rossa, stratificate in numerose velature sottili. Le zone di luce più intense – fianchi, petto, spalle – sono coperte da un velo leggero di biacca puro, mentre dietro la figura un fondo di terra d’ombra naturale, applicata a spatolate sottili, rende palpabile lo spazio circostante.

La Maja desnuda

Saturno divora i suoi figli (1820–1823)

Museo del Prado, Madrid

Le ombre feroci nascono da strati spessi di terra d’ombra bruciata, applicati con pennellate rapide e dense. Il corpo contorto di Saturno è scolpito con un misto di ocra rossa e cinabro, per accentuare l’orrore della carne. Un velo sottile di nero carbone avvolge le estremità, mentre la testa strappata risplende di un alone di biacca mescolata a un tocco di giallo piombo-stagno, simulando un bagliore sinistro.

La famiglia di Carlo IV (1800–1801)

Museo del Prado, Madrid

I velluti rossi delle dame sono ottenuti con strati alternati di vermiglione e lacca di garanza, fissati con gomma arabica per mantenerne la trasparenza. Le poltrone verdi e i tendaggi sullo sfondo sono un miscuglio di terra verde e ocra gialla, steso in velature sottili che lasciano intravedere la preparazione chiara. Le carnagioni chiare emergono da un fondo di biacca impastata con un accenno di ocra rossa, creando volti luminosi contro tessuti scuri.

Riscoprire i pigmenti di Goya oggi significa recuperare la dimensione artigiana di un pittore che vedeva nel colore materia grezza da domare e plasmare. Ocra gialla, terra d’ombra, vermiglione, biacca, terra verde e neri complessi non sono reliquie del passato, ma strumenti vivi: offrono stabilità, profondità e tonalità autentiche difficili da replicare con i soli sintetici. Chi opera nel restauro o nella pittura contemporanea può trarre beneficio da questi materiali, testandoli su supporti moderni e riscoprendo la sapienza di Goya nel dosaggio, nella stratificazione e nel bilanciamento delle luci e delle ombre. In un’epoca di colori standardizzati, tornare alle terre e ai minerali naturali significa rendere di nuovo palpabile la forza della materia, proprio come faceva Goya più di due secoli fa.